Viaggiare da soli per sentirsi liberi di ritornare

Francesca Di Pietro Pubblicato il

A volte nel guardare il mondo viaggiando mi è sembrato di perdermi. E’ una sensazione di libertà estrema, quella dell’indeterminatezza, dell’abbandonarsi un po’ al caso. E’ una delle principali differenze tra le vacanze, i tour organizzati, il turismo di massa e il vero viaggio. Quest’ ultimo per sua costituzione include sorprese, imprevisti, momenti di sconforto, scomodità, la solitudine e la frustrazione che vengono dallo scontro con la diversità, specialmente se si viaggia soli, e quindi senza “rifugi”. Non parlo di quei non-luoghi che definirei post-coloniali, che sono le nostre case e i nostri villaggi turistici traslocati nel bel mezzo del nulla e dell’altrove, ovviamente.

Lungo il Rio delle Amazzoni
Navigare in amaca sul grande fiume

La vera esperienza del viaggio ha inoltre sicuramente a che fare con il fatto di viaggiare soli. Viaggiare con qualcuno, qualcuno che ci portiamo da casa, è appunto, portare con noi un pezzetto di casa. Viaggiando da soli non vi è possibilità alcuna di chiudersi in dinamiche familiari. Bisogna scegliere come compagni persone che si incontrano lungo la strada. E nei momenti in cui la diversità culturale si fa notare, vorremmo rinchiuderci e cercare conforto in chi parla la nostra lingua e soprattutto condivide un humus che ci permette di giocare sui sottintesi. Quando si viaggia da soli questo non è possibile.

E tutto questo, per un lungo tempo, mi ha dato identità.

“Sento la stessa paura che avevo prima di partire per questo luogo sconosciuto. Ho paura di ripiombare nella vecchia vita. Mi prende così all’improvviso, mentre leggo una roccia squamata e acuminata in mezzo alla spiaggia, sembra il dorso di un dinosauro, uno spuntone che fuoriesce dalla crosta terrestre. Mi distraggo un attimo e vedo i fumi provenienti dai forni del villaggio in lontananza che offuscano il verde, la spuma delle onde che si infrangono e si argentano grazie al grande e caldo sole calante.

Vedo le palme salutarmi e le impronte lasciate sulla sabbia da quei bambini dai sacchi di pomodori lucenti in testa. Mi osservano fissamente e anche quando mi hanno superata girano la testa per continuare a guardare, nonostante gli sia difficile. Continuano a camminare guardando dietro, verso di me, poi mi salutano. Vedo passare la signora che mi sorride sempre, con la tanica in testa e mi avvolge l’odore al quale ho imparato ad abituarmi. Mi prende così all’improvviso, insieme a quella malinconia e mi rendo conto che è l’odore di questo posto. E’ un odore di vita, di pelle, di qualcosa che esala dalla terra, che proviene dalle sue viscere e ti farebbe adagiare su di lei. Mi finisce in gola ed è come se mi strozzasse perché so che forse non lo sentirò di nuovo. O comunque dovrò abituarmi a non sentirlo. Si vive quando non si sente l’odore della vita? Siamo noi che respiriamo? La risposta mi esce dagli occhi e poi si asciuga prima che la possa leggere. Vedo le orme che si lascia dietro la bella signora e mi sento meglio. Perché mi rendo conto che non se ne accorge, eppure si lascia alle spalle, sul piano liscio della sabbia, qualcosa di bello. Delle increspature sul piano solitario che raccolgono un po’ di ombra e un po’ di sole, le lascia lì, e magari il mare se le porterà pure via. Non so descrivere questa luce che è come un monito a prepararsi, con tanta calma, al buio; quel sole che ti sta per salutare e ti abbraccia di rosso, di luce commovente, emozionante e serena. Ti colpisce trasversalmente e ti fa sentire orgogliosa, perché sta lì davanti a te, come tuo pari, e lo puoi guardare negli occhi alla tua stessa altezza, pure se lui è infinitamente grande.”

Cambusa
Cambusa lungo il fiume

Non mancavano molti giorni al ritorno. Leggevo questa pagina, scritta sul diario poco prima di ritornare a casa durante il mio primo viaggio, e mi resi conto per la prima volta che non avevo più paura di tornare, di ritrovare casa. Mentre prima avevo sempre paura di stare a casa, e dopo tre mesi avevo già la nausea.

Non aver più paura per la prima volta, paura di tornare a casa e rimanervi. Sentivo che dopo tutte le lotte che avevo ingaggiato nel mondo, le avventure e i rischi che lasciavano sbalorditi i più, per me la lotta più difficile da ingaggiare era proprio questa: realizzare bene una sana normalità. A volte per questo non sapevo proprio più chi ero io, proprio perché prima di questo nomadismo ne avevo fatto una questione di identità.

Eppure proprio cambiare me stessa da questo punto di vista, sentivo che era la strada giusta da percorrere. Abbandonare la maschera razionale e ideale che avevo fatto di me per immaginarmi un modello da seguire, una coraggiosa eroina, era in realtà un modo di fuggire dai miei problemi. Si è liberi quando non si ha più una missione. Per me viaggiare era una missione ed ora che sto ferma mi sento libera, sotto un certo punto di vista. Libera dal fatto di viaggiare e soprattutto viaggiare da sola, per sentirmi più forte. Forse i viaggi migliori quindi devono ancora venire. Ma comunque, non rinnego nulla.

 


Psicologa e Viaggiatrice. Giro il Mondo e studio la personalità dei viaggiatori! Ho visitato più di 75 paesi molti dei quali da sola. Per me il viaggio è uno strumento di crescita personale. Ho creato questo sito per tutti quelli che amano viaggiare da soli o che vorrebbero iniziare a farlo. Ho pubblicato: Il Bello di Viaggiare da Soli: guida al travel coaching per ottenere il massimo da noi stessi edito Feltrinelli.

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