L’Earth Day 2020: le sfide di ieri e di oggi ai tempi della pandemia

Margherita Monti Pubblicato il

Nel 1969, il senatore del Wisconsin, Gaylord Nelson, molto sensibile alle tematiche ambientali, decise che era giunto il momento di portare all’attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politico la questione della salvaguardia di un ambiente pulito e privo di inquinamento, ma anche della valorizzazione di una società rispettosa di tutti gli esseri viventi.

Questa presa di coscienza avveniva in seguito al disastro causato dalla fuoriuscita di circa 100mila galloni di greggio dal pozzo della UNION OIL— al largo di Santa Barbara, in California — che si riversarono in mare, e che per molto tempo fu ricordato come la più grande marea nera della storia americana fino a quel momento.

Nelson intuì che per ottenere buoni risultati avrebbe dovuto inviare un segnale forte al Campidoglio, coinvolgendo i movimenti studenteschi che in quegli anni erano mobilitati contro la guerra in Vietnam; e si chiese se lo stesso sistema avrebbe funzionato anche con l’intento di promuovere una maggiore consapevolezza ambientale.

Ecco che nell’Aprile del 1970, 20 milioni di americani festeggiarono l’Earth Day, e si tenne la più grande manifestazione nella storia degli Stati Uniti.

L’istituzione della Giornata Mondiale della Terra si colloca nel panorama culturale degli anni 60, che ha determinato la nascita del movimento ambientalista moderno. Il mondo stava cambiando e l’industria chimica minacciava di distruggere la natura.

Nel 1962, Rachel Carson, genetista e biologa marina pubblica un libro-bomba, tuttora di grandissima attualità — “Primavera Silenziosa” —, da tutti considerato la pietra miliare del pensiero ecologista ed ambientalista.

Primavera Silenziosa si apre con un racconto dispotico: la Carson vedeva il futuro della terra così, in balìa delle scellerate azioni umane.

«C’era una volta un villaggio nel cuore dell’America dove tutta la vita sembrava scorrere in armonia con l’ambiente circostante. Il villaggio si stendeva al centro di una scacchiera di prospere fattorie, tra campi di grano e colline coltivate a frutteto dove, in primavera, le bianche nuvole dei fiori appena sbocciati spiccavano sul verde dei prati. D’autunno le querce, gli aceri e le betulle si vestivano di un rosso fiammante che lampeggiava su uno sfondo di pini. […]

Così era sempre stato fin da quando, molti anni prima, i primi abitanti avevano edificato le loro case, scavato i pozzi e costruito i fienili. Poi un influsso maligno pervase la zona, ed ogni cosa cominciò a cambiare. Sulla popolazione si abbatté una diabolica magia; le galline furono colpite da misteriose malattie; i bovini e le pecore si ammalarono e morirono. Tutto era avvolto dall’ombra e dalla morte.»

Il suo libro ha anticipato di molto lo scenario di degrado ambientale in cui oggi si trova a vivere l’umanità del secondo millennio. Denunciò l’utilizzo dei pesticidi e composti organici di sintesi in agricoltura, documentando con ricerche e analisi scientifiche i danni per la salute umana e per l’ambiente.

La Carson era una donna che fin da piccola ebbe modo di immergersi nella natura e scoprire le sue dinamiche misteriose.

«Non ricordo un periodo della mia vita in cui io non sia stata interessata all’intero mondo della natura. Ero una bambina solitaria e trascorrevo gran parte del tempo nei boschi, osservavo gli uccelli, gli insetti, i fiori e imparavo. La natura, d’altronde, ci dice tutto, se la sappiamo ascoltare.»

Nell’anno di uscita del libro, le sue idee vennero derise e liquidate come il frutto del delirio di una donna isterica.

L’industria chimica, capitanata dalla Monsanto, le dichiarò guerra, grazie anche al supporto del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti.

Qualcosa però si stava già muovendo, sia nella comunità scientifica che tra i piccoli agricoltori, preoccupati per l’uso massiccio dei pesticidi.

Purtroppo però una malattia al seno fermò la partecipazione della Carson a molti dibattiti politici e, sfortunatamente, l’autrice anche dell’altro capolavoro — The sea around us (il mare intorno a noi) del 1951, uno dei libri più autorevoli sul mondo naturale — non visse abbastanza a lungo per assistere al bando del letale DDT.

Dopo 8 anni dall’uscita di Primavera Silenziosa, la nascita di Earth Day riunisce in un’unica azione collettiva le diverse anime del movimento ambientalista a difesa della Terra.

I gruppi che fino ad allora avevano singolarmente combattuto contro i combustibili fossili, contro l’inquinamento delle fabbriche e delle centrali elettriche, i rifiuti tossici, i pesticidi, la desertificazione e l’estinzione della fauna selvatica, improvvisamente capiranno di condividere valori comuni.

Da allora, il 22 aprile — un mese e due giorni dopo l’equinozio di primavera —, l’Earth Day è la più grande manifestazione ambientale del pianeta, che negli anni ha visto la partecipazione di quasi un miliardo di persone in tutto il mondo, tra cui molti personaggi dello spettacolo — come Leonardo Di Caprio —, che uniti celebrano la Terra e promuovono la sua salvaguardia; e l’affermazione di una “ Green Generation”. Una generazione che guarda a un futuro libero dall’energia da combustibili fossili, in favore di fonti rinnovabili, e che ha come obiettivo la sensibilizzazione individuale verso un consumo sostenibile, lo sviluppo di una economia circolare, e una Green Economy.

Quest’anno si festeggiano i 50 anni, anniversario importante, che arriva in un momento delicato, come quello che stiamo vivendo, di svolta, significativo ed epocale.

Il 2019 è stato un anno di grande fermento e mobilitazione per il Cambiamento Climatico. Non è un  caso che il tema della Giornata Mondiale della Terra 2020 sia “ Action for Climate.”

I #fridaysforfuture, gli scioperi scolastici capitanati dalla svedese Greta Thunberg — ma iniziati già nel 2015, durante la Cop 21, la Conferenza sul Clima di Parigi —, hanno invaso i social media diventando un movimento planetario.

Poi il mondo ha conosciuto il Covid-19, e le sfide sono diventate due: combattere e fermare la pandemia che ha messo in ginocchio un intero sistema, e imparare la grande lezione che essa porta con sé.

Non è un segreto che l’origine di questo virus, così come molti altri della storia — l’Ebola, l’HIV —, sia estremamente legato alla distruzione degli ecosistemi e al traffico illegale di fauna selvatica.

Invadiamo le foreste tropicali e altri ambienti incontaminati, dove vivono chissà quanti virus sconosciuti. Abbattiamo gli alberi e ammazziamo gli animali, o li mettiamo in gabbia, e poi li vendiamo ai mercati — nei “wet market” si vende e si macella, senza nessun rispetto degli standard igienico-sanitari —.

Disturbando gli ecosistemi liberiamo i virus dai loro ospiti naturali e così facendo li costringiamo a cercarne di nuovi.

Le attività umane possono scatenare cambiamenti nelle dinamiche del sistema Terra, provocando effetti multipli che interagiscono a cascata, e in modi complessi, con molti altri effetti naturali.

In poche generazioni l’umanità ha consumato le riserve di combustibili fossili, generate in centinaia di milioni di anni, avvicinandosi alla soglia dell’esaurimento; la concentrazione in atmosfera di diversi gas che aumentano l’effetto serra naturale è aumentato pericolosamente innescando rapidi cambiamenti del clima; più del 50% della superficie terrestre è stata modificata direttamente dall’intervento umano con conseguenze sulla biodiversità e sui grandi cicli biogeochimici. La quantità di azoto fissato sinteticamente nell’agricoltura è oggi superiore a quella fissata naturalmente negli ecosistemi. La plastica è ovunque. Negli oceani è in atto un processo di acidificazione. Più della metà della quantità di acqua dolce accessibile è stata utilizzata direttamente e indirettamente dalla nostra specie. I tassi di estinzione delle forme di vita sono notevolmente aumentati, tanto da far dichiarare agli esperti che ci troviamo nel mezzo di una grande perdita della biodiversità ( la cosiddetta estinzione di massa), provocata per la prima volta nella storia della vita sulla Terra, dalle attività di una singola specie vivente: la nostra.

In un momento come questo, di crisi complessiva di un modello economico dominante che ha solo prodotto devastazioni ambientali e sociali, è più che mai evidente che l’impostazione dell’economia del futuro non può assolutamente essere la normale prosecuzione di quella attuale.

È chiaro che qualcosa deve cambiare. Serve una riconsiderazione, una reimpostazione; Ieri c’era Rachel, oggi Greta. Ma soprattutto ci siamo noi, che a gran voce affermiamo che: adesso basta!

Primavera silenziosa si chiude con una profonda riflessione sugli ingegnosi e creativi propositi di risolvere il problema della coesistenza del genere umano con le altre creature della Terra che, secondo la Carson, sono guidati da un solo filo conduttore: la consapevolezza di dover venire a patti con la vita stessa.

Un approccio sostanziale alla natura tramite un’apertura e una sensibilità fondante per noi stessi e la vita umana che ci circonda.

Sentire la connessione con la natura può far crescere la motivazione a prendersi cura di lei con più attenzione.

Prima che le voci della primavera tacciano per sempre.

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