La sofferenza ci rende più forti?? Siamo sicuri?

Francesca Di Pietro Pubblicato il

Quello che non ti uccide ti fortifica, si dice così, ci insegnano così, perché è già tanto doloroso soffrire che un risvolto positivo si deve pure avere no?

Quindi se questo sillogismo fosse vero, una persona che ha sofferto molto è una persona davvero forte, eppure anche in psicologia si vedono centinaia di persone segnate a vita dal loro passato, da un evento traumatico, da un passo della vita non risolto, ma non doveva renderci più forti?

Quando un vaso si rompe e invece di buttarlo lo incolli non è uguale a prima, non lo sarà mai, i giapponesi hanno questa bella abitudine di riparare gli oggetti con materiali preziosi per conferire importanza e memoria agli errori, mi è sempre piaciuto molto, penso che forse è per questo che amo così tanto le pietre preziose, ognuna simboleggia una rottura di qualcosa nella mia vita, anche se il reale significato lo conosco solo io.

Un vaso rotto e incollato non regge più l’acqua senza gocciolare. Sono tre anni consecutivi che mi distorco la caviglia sinistra, davvero tanto dolore lo posso assicurare eppure non la sento più forte di prima, la sento debole, ho perso spontaneità nei gesti, non mi sento più libera di indossare i miei tacchi preferiti, ho paura ad andare a fare trekking, ho paura quando guido il motorino in sandali, insomma è come se questo evento ripetuto avesse portato la mia attenzione e le mie paure sempre sul ricordo del dolore e la paura di riprovarlo di nuovo.

Ma quindi come fa a renderci più forti?

Forse dovremmo iniziare a raccontarci la verità e a supportare e confortare le persone che amiamo nel modo corretto. Una persona che vive un momento brutto, che soffre, che ha avuto un lutto, che ha il cuore spezzato, non sarà più forte, non reagirà meglio ai dolori futuri, non esiste il callo del male. Se mettiamo tutti i giorni la mano sul fuoco alla fine non diventeremo insensibili, avremo solo la mano ustionata in più punti. Più soffri e più ferite hai e più vulnerabile sei è un dato di fatto.

Allora cerchiamo di ristrutturare il pensiero correttamente in modo da non avere false speranze.

Il dolore è un ottimo maestro di vita. Questa è una frase che ha un senso! Dal dolore si impara, perché la prossima volta cercheremo di non provare lo stesso dolore. Infatti se capiamo che un percorso è pericoloso o un movimento sbagliato in uno sport ci può far avere un infortunio, correggiamo il nostro movimento o modifichiamo il percorso. Se per prendere la pentola dell’acqua ci siamo ustionati la prossima volta useremo le presine! In questo è stato utile. Sicuramente non sempre abbiamo la lucidità o la consapevolezza di capire quale esattamente è stato l’errore da non fare più, quale comportamento la nostra psiche mette in atto e perché, ma per questa risposta ci sono i miei colleghi ;-).

C’è un altro atteggiamento che secondo me è disfunzionale, il conforto negazionista.

Vedere una persona che soffre è tremendo, principalmente perché è una situazione che ci rende impotenti, nella maggior parte dei casi non possiamo fare nulla per alleviare quel dolore. A parer mio la cosa sbagliata è che quasi sempre si tende a minimizzarlo o far proiettare troppo la persona sulla reazione invece che sull’evento.

Bisogna arrogarsi il diritto di viversi il dolore a pieno, è qualcosa di reale quindi va vissuto, e poi possibilmente elaborato, ma mai negato o sminuito.

Se ti sei rotto una gamba puoi lamentarti e incazzarti per un periodo, non importa se qualcuno ti dice che ti è andata bene perché potevi morire, non è quello il punto. La cosa si complica molto quando parliamo di dolori emotivi, anni fa una delle mie migliori amiche perse la madre quando era poco più che adolescente, tutta dico tutta la famiglia la intontì con frasi tipo “devi essere forte” “ora hai tu il peso della famiglia” “devi essere da esempio” e nessuno la trattò come una ragazzina terrorizzata e distrutta. Molti lo fanno perché pensano possa spronare una persona, ma una persona va in primo luogo rispettata, se ti è appena morta la madre o il fidanzato, cazzo devi piangere e io ti devo abbracciare, poi pensiamo a come reagirai! E la stessa cosa accade per eventi meno drammatici come il fallimento di un progetto, o la fine di una storia. Il dolore non va giudicato o interpretato, non importa perché o per cosa una persona stia male, non siamo noi il metro del loro sentire, confortare vuol dire comprendere e “abbracciare” fisicamente o verbalmente la persona e solo in un secondo momento dispensare perle di saggezza altrimenti richiamo di provocare una reazione di chiusura e di rigetto nella persona che cercava di aprirsi nei nostri confronti.

È sano provare dolore; se una persona non soffre per qualcosa che è successo, preoccupatevi, nella migliore delle ipotesi è in una fase di diniego e quindi posticiperà la sua reazione di qualche giorno, nella peggiore delle situazioni, come spesso accade, sublimerà o sposterà il suo dolore trasformandolo spesso in fobie o manifestazioni psicosomatiche.

Dagli errori si impara, il dolore lo devi vivere di pancia e spenderci le lacrime che il tuo corpo chiede, magari non in pubblico, ma prenditi il tuo tempo per soffrire. E poi c’è la parte più complicata: lascialo andare. 

Nessuno ti spiega come si fa a lasciare andare il dolore, ma è la chiave della felicità almeno Gandhi così diceva. Costruire strategie per “risorgere” o imparare a vivere nel presente senza soffermarsi sul passato, ognuno sceglie il cammino che preferisce e che si addice più alla propria persona. In questo sicuramente chi ha già sofferto in passato sa quali strategie è meglio usare per uscire da una brutta situazione, ma a volte mi rendo conto che è la vita stessa a sorprenderti perché di strategie ne puoi imparare di nuove e perché con gli anni se ci lavori tanto puoi veramente imparare a vivere il presente, questo non significa che pensare al passato non ti renda triste, ma quantomeno non ti fagocita in un buco nero.

Non pensavo che avrei mai detto questa frase, ma in effetti fare yoga e meditare ti aiuta a lasciare andare quello che non puoi cambiare, non so come spiegarlo, non è che ci mediti e non ti manca più una persona che hai perso, ma il ricordo ha un dolore meno pungente, riesci a muovere delle energie dentro di te che riattivano delle sensazioni piacevoli.

Riassumendo le mie provocazioni: il dolore non ti rende più forte, ti rende vulnerabile e il tuo corpo non lo dimentica mai, non accade a livello fisiologico figuriamoci emotivo, per questo si dovrebbe sempre cercare di non fare agli altri quello che vorresti venga fatto a voi stessi, è da sempre il motto della mia vita, un paio di volte ho fatto degli errori molto grandi in merito, ma da quel momento cerco sempre di rispettarlo.

Il dolore spesso ti insegna a non rifare due volte la stessa cosa.

Il dolore va espresso, urlato pianto, gridato, più fisico è e meglio è. Mai, mai reprimere il dolore, altrimenti il vostro corpo lo sfogherà in altro modo. Se confortiamo qualcuno che soffre, cerchiamo di far rilassare la persona e sfogare, non di minimizzare quello che sta sentendo o la situazione in cui si trova. Dopo averlo espresso impariamo a lasciare andare il dolore, perché purtroppo il passato non si cambia mai lo si può solo accettare, anche se è la cosa più difficile della vita!

 

Psicologa e Viaggiatrice. Giro il Mondo e studio la personalità dei viaggiatori! Ho visitato più di 75 paesi molti dei quali da sola. Per me il viaggio è uno strumento di crescita personale. Ho creato questo sito per tutti quelli che amano viaggiare da soli o che vorrebbero iniziare a farlo. Ho pubblicato: Il Bello di Viaggiare da Soli: guida al travel coaching per ottenere il massimo da noi stessi edito Feltrinelli.

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