Viaggiare da soli in Tunisia.
Sono molto legato al mondo arabo: per anni ha costituito il fulcro della mia formazione culturale, e anche se ho visitato alcuni paesi del nord Africa e del medio oriente, ho sempre posposto la Tunisia ad altre mete, forse per l’eccessiva vicinanza all’Italia.
Mi sono deciso all’improvviso, colpito dalla tenacia dei tunisini a volersi liberare dell’odiato Ben Ali, dalla capacità che hanno avuto di accendere quella miccia che ha incendiato l’altra sponda del mediterraneo, anche se gli esiti non sempre sono stati felici, e non posso nascondere l’offerta imperdibile di un volo molto economico!
Sono arrivato a Tunisi in un’assolata e accecante giornata di marzo. Già abituato alla burocrazia di frontiera (comunque meno ottusa e più sbrigativa rispetto a quella di altri paesi confinanti), in relativo poco tempo metto piede in città, che si presenta esattamente come l’avevo immaginata: vibrante, polverosa, piena di giovani, di gente indaffarata, assediata dal traffico, l’aria densa di profumi di spezie, di cibi di strada, di quell’inconfondibile odore di benzina nordafricana. Mi sentivo a mio agio, a casa, immerso in una lingua che solo parzialmente comprendo, ma esaltandomi quando riconoscevo termini, imprecazioni, frasi colte per strada. Mi sono fermato poco in città, mi attendeva il sud, ma ho fatto in tempo a compiere due missioni essenziali: girare per la straordinaria Medina, che gelosa custodisce i suoi segreti, come la Zaytouna, una delle più belle moschee esistenti, praticamente invisibile e nascosta ad ogni prospettiva. La seconda missione era quella di rintracciare la Zauwiyya di Sayyda Aisha Manoubia, un santuario dedicato ad una mistica Sufi che per fuggire dalle convenzioni sociali che l’avrebbero costretta ad un matrimonio di interesse, si rifugiò presso una congregazione religiosa di cui presto divenne il punto di riferimento. Aisha, oltre a diventare una sapiente studiosa di teologia e flosofia, diede ospitalità a negletti, donne sole, vagabondi, e dal XII secolo il mausoleo a lei dedicato non ha mai cessato di svolgere questa attività. La Zauwiyya è saltata agli onori della cronaca ad ottobre del 2012, quando un gruppo di fondamentalisti lo ha preso d’assalto profanando la tomba e devastandone gli ambienti, provocando sgomento presso la piccola comunità che ci vive. Trovarlo non è stato facile, ma con l’aiuto di qualche passante ho trovato il luogo, nell’estrema periferia di Tunisi. Ho avuto modo di parlare con la custode, e di visitare il piccolo mausoleo, ancora imbrattato e devastato. Attendono gli aiuti dello stato, anche se nel frattempo qualche volontario si dà da fare per ripristinare un po’ d’ordine. È stato emozionante vedere la piccola tomba semidistrutta, con qualche dono votivo (candele e mirra) davanti. Una piccola donna rivoluzionaria aveva provato a cambiare il mondo già nel Medioevo, e il suo insegnamento ancora oggi è vivo, forse troppo scomodo per qualcuno.
il giorno dopo inizio la mia discesa verso sud. Lungo la costa, attraverso km di uliveti, di resort per turisti pigri, di piantagioni non ben identificate, zone industriali, e purtroppo disastri ecologici ( tonnellate di plastica spazzata dal vento e imprigionata tra cespugli e alberi) arrivo a Sousa, la terza città del paese, che con fatica cerca di riemergere nel mercato del turismo di massa. C’è una bella Medina anche qui, e una straordinaria moschea aghlabita dell’VIII secolo. Semplice, essenziale, ma perfetta nelle sue proporzioni geometriche. Quindi, a bordo di un sorprendente e modernissimo “metro du Sahel”, sono giunto a Mahdia, una cittadina arroccata su una penisola (capo Africa), alla cui estremità c’è un cimitero, un faro e un campo sportivo, frequentato da ragazzini scalzi e vocianti. Dopo avere assistito tifando ad una partita ricca di falli ma divertente, ho sorseggiato il mio té alla menta sulla scogliera. Da questo punto i Fatimidi partirono per la conquista del Cairo, lasciando la rocca agli abitanti della zona, che da allora non sono mai più andati via. Del resto come non capirli: Le case di Mahdia sono bianche e celesti, le finestre perennemente chiuse sono decorate con perizia, e la gente sembra dedicarsi alle proprie attività con quel distacco che agli occhi di molti sembra indolenza…
Da Mahdia, in louage (taxi collettivi), continuo la mia discesa verso sud: Sfax. Il paesaggio varia quasi impercettibilmente. Gli ulivi ormai crescono sulla sabbia, sono sempre più distanti l’uno dall’altro, e sempre più piccoli. I miei compagni di viaggio sono un concentrato stranissimo di tipologie: un’impiegata in una fabbrica sperduta, uno studente, un anziano, due donne ciarliere, ma simpatiche, e un giovane religiosissimo e diligente, col Corano sulle ginocchia. A Sfax, che fuori dalla Medina sembra un angolo di Francia trapiantato in nord Africa, prendo il treno. Destinazione: Tozeur, che per rispetto ed eccessivo purismo chiamerò col suo nome arabo, Tawzar.
Subito dopo la partenza, quel paesaggio che si trasformava lentamente, subisce un radicale e repentino cambiamento. In pochi km spariscono gli ulivi, le fabbriche, le città, persino la plastica, e mi ritrovo nel Sahel pre-desertico. Arbusti spinosi, bassi e sempre più lontani tra loro si susseguono per ore. Il treno è pieno, qualche turista, ma tanta gente del luogo che scende in stazioni sconosciute abbracciando parenti e amici. L’arrivo a Tawzar, 6 ore dopo, è a dir poco stupefacente. Dall’alto piano, desertico, si domina tutta l’oasi. Centinaia di palme altissime, per km, e all’orizzonte, il Chott-el-Jerīd, il grande lago salato che divide l’oasi dal deserto vero e proprio. Tawzar era quello che desideravo vedere nel mio viaggio. Una città di frontiera, piccola, dove si trova di tutto, prima di avventurarsi nel Sahara vero e proprio, che ormai è alle porte. Vive in stretta simbiosi con la Palmeraie, un bosco incedibile che si estende per km, ricco di fonti, veri e propri fiumi, laghetti, giardini lussureggianti. La gente del luogo comprende a pieno l’importanza e la delicatezza di questo ecosistema, almeno questa è stata la mia sensazione, e lo cura con dedizione. Mi sono addentrato nell’oasi, fino a perdermi. Ho trovato piccolissimi villaggi, ignorati dai turisti, una tomba del X secolo, una moschea non ben databile, ma stupenda, uomini e donne sorridenti, bambini scalzi che hanno voluto che scattassi loro delle foto.
Mi sono fermato 4 giorni lì, riposando, esplorando l’incantevole Medina, un dedalo di strade, muri, porte magistralmente decorate con disegni che ricordano le geometrie delle palme ( forse non è un caso). Mi sono spostato fino a vedere le porte del Sahara, a Douz, il vero e proprio avamposto prima della grande distesa di sabbia. Ero felice, arricchito dalle conversazioni con la gente del luogo, avvenute sui louages, nei ristoranti, persino a bordo di una moto con uno sconosciuto che mi ha offerto un passaggio e che sognava di visitare Venezia.
Il mio viaggio volgeva al termine, e mi sono di nuovo recato a Tunisi per il volo di ritorno. Ho trovato un’atmosfera diversa, per via del social forum che si è tenuto a fine marzo. La città era piena di stranieri e i tunisini sembravano increduli. Si atteggiavano in quel modo tenero che hanno in molti, ostentando indifferenza ma in fondo orgogliosi di mostrare il proprio paese e il proprio patrimonio. Osservavo tutto questo da un caffè sulla Bourguiba, il grande boulevard alla francese che collega il centro della citta alla costa, attendendo che giungesse l’ora di recarmi in aeroporto.Sul taxi, troppo stanco per prendere un bus dopo un viaggio durato quasi 10 ore da Tawzar, l’ultimo bellissimo dialogo con un tunisino. Bilal, il tassista, allegro anche se stremato dal traffico, mi spiegava che molta gente rimpiange Ben Ali, per via dell’ordine pubblico e della pulizia che regnava sovrana. Diceva che Tunisi effettivamente era pulitissima, non c’era criminalità, e che in pratica si poteva dormire con la porta di casa aperta (discorsi già sentiti), ma “Io la rivoluzione l’ho fatta, e in prima linea- ha esclamato fiero- e preferisco la libertà. Per raccogliere la spazzatura e i delinquenti c’è sempre tempo!”. Mi sono lasciato alle spalle un paese giovane, fiero, determinato, che guarda al futuro con ottimismo, capace di offrire il suo contributo per un mondo migliore, come avevano fatto Aisha Manoubia molti secoli prima, e Bilal il tassista in piazza solo pochi anni fa.
Giuseppe