Mollare tutto e viaggiare da sola in Cina

Francesca Di Pietro Pubblicato il

Un segno indelebile.
Credo che questa sia la frase più adatta che racchiude la duplicità di significato del mio viaggio, non solo un’avventura a occhi aperti ma anche un’esperienza che ha sconvolto la mia esistenza mettendo sotto sopra il mio “normale” modo di vedere le cose.
Non so se a qualcuno di voi sia mai capitata una cosa simile: io la chiamo epifania. Ogni giorno era segnato dalla classica routine in cui apri gli occhi, scendi dal letto, occupi il bagno per infiniti minuti a causa dell’incapacità di ragionare velocemente, fai colazione, ti vesti ed esci di casa per recarti al lavoro. Sempre il solito e monotono ritmo fino a quando, una mattina, tutto di colpo cambiò: mi svegliai, appoggiai i piedi sul pavimento e ancora seduta sul letto, mi guardai lentamente attorno come se vedessi per la prima volta la mia stanza. Tutto mi sembrava così estraneo e così lontano da me che quasi pensavo di sognare ancora, sperando di potermi svegliare grazie ad un delicato pizzicotto sul braccio.
Nulla, era proprio la realtà.
Passato il primo duro e scioccante impatto, realizzai che quella sensazione di stallo, di “magone” in fondo allo stomaco risiedeva in me già da un bel po’ di tempo, ma avevo sempre cercato il modo di reprimerlo distraendomi con altri pensieri, fino a quando non scoppiai letteralmente.

viaggiare da sola in Cina
Quello fu il momento preciso in cui la mia decisione prese forma: dovevo assolutamente allontanarmi dal luogo che per anni era stato la mia vita e la mia culla di conforto. Decisi che il modo giusto per non avere dei ripensamenti fosse quello di agire il prima possibile. Mancava da rispondere a una sola domanda: verso quale meta?
Mi serviva un posto lontano, preferibilmente dall’altra parte del mondo, con una cultura completamente opposta alla mia, dove non fossero in grado di capire me e viceversa.
Appena realizzai questo pensiero nella mia mente si materializzò l’immagine di lande desolate, vaste foreste verdi e samurai vestiti di antiche armature: il luogo giusto era sicuramente la Cina.
Unica condizione necessaria: partire rigorosamente da sola.
Grazie ad un mio amico riuscii ad avere il contatto di una ragazza di Bĕijīng che, senza conoscerla, mi assicurò fin da subito la sua disponibilità.
In un battito di ciglia mi ritrovai a bordo di un volo internazionale, pronta ad andare incontro alla mia avventura e ad affrontare, finalmente, tutte le mie paure.
Durante quelle infinite ore seduta su una poltrona, riflettei su dove stessi andando, su quello che avrei visto e su quello che avrei dovuto fare.
Tutte domande che in quel momento non ebbero una risposta esaustiva perché, probabilmente, non capivo quello che stavo facendo nonostante, all’apparenza, non ero affatto agitata, pensierosa o nervosa.
Mi resi conto della mia posizione geografica solo quando, una volta salita sul taxi, vidi file e file di cartelloni pubblicitari con scritte in carattere cinese poste ai lati della strada.
Non era un’illusione, ero proprio arrivata!
Rimasi a Bĕijīng per circa due mesi: un nido di persone, un groviglio di strade, una metropoli senza eguali. Nonostante le difficoltà di spostamento, il costante rischio di soffocare tra la gente nei bus o nella metro, rimasi positivamente affascinata da quella città che, più che altre metropoli viste,ha la capacità di coniugare passato e presente nel medesimo tempo.
Invece dei grandi centri commerciali, dei negozi di lusso e della tecnologia all’ultimo grido, mi focalizzai su quei tratti fondamentali che hanno caratterizzato l’antica Cina, andando alla scoperta di popolari Hútòng, mangiando da bancarelle di strada pietanze a base di insetti (scorpioni, cavallucci di mare, stelle marine), cercando la storia negli antichi palazzi imperiali e riflettendo sulle divinità nei colorati templi buddhisti.

Quando giravo per le strade, quando mangiavo nei locali tipici piatti di noodles o dumplings, quando facevo normalmente la spesa settimanale, ero sempre al centro dell’attenzione, proprio come se provenissi da chissà quale strano e lontano pianeta. Addirittura mi fermavano per farmi appositamente una foto. Inizialmente mi sentii un po’ offesa del fatto che mi trattassero come un oggetto, ma poco dopo capii viaggiare da sola in Cinache se loro erano così affascinanti e diversi ai miei occhi lo stesso ero io e che non bisogna giudicare ma apprezzare questa diversità.

Senza neanche rendermene conto i primi due mesi volarono via velocemente, portando con sé anche il malessere che mi aveva seguita dall’Italia. Ogni giorno qualcosa da vedere, ogni giorno un pezzo di dolore si staccava dalla mia anima, ogni giorno un passo in avanti fino alla completa depurazione alcuni istanti prima della mia partenza da Bĕijīng: ero pronta, fisicamente e interiormente, a lasciare quella indescrivibile città alla scoperta di luoghi lontani, di posti sconosciuti, di natura senza inquinamento per entrare in contatto con il mio vero essere.

Sveglia all’alba, zaino in spalla, alcuni miseri viveri e via verso la prima meta: Xī’ān, nello Shānxī.
A livello urbanistico rimasi un po’ delusa, per me non è altro che il solito insieme di strade intasate dal traffico, i soliti negozi alla moda che cercano di vendere più ai turisti che non alla gente locale e lussuosi ristoranti che sostengono di cucinare specialità del luogo.La città è suddivisa in due sezioni: la parte vecchia delimitata da delle antiche mura con quattro uscite in corrispondenza dei quattro punti cardinali e la parte nuova, all’esterno della cinta muraria, che racchiude gli edifici più moderni. Fortunatamente la mia delusione si attenuò quando decisi di andare a vedere l’esercito di Terracotta. Come tutti i luoghi turistici che hanno una fama a livello mondiale non ci si può aspettare di essere da soli e di avere una quantità di tempo illimitata per visitare i reperti, quindi bisogna cogliere al volo l’essenza del sito archeologico.

Le mie sensazioni a livello olfattivo e visivo presero il sopravvento: ciò che maggiormente mi colpì, una volta varcata l’entrata del padiglione, fu il profumo di “usato”, un odore che non può essere descritto con una sola parola perché ingloba un qualcosa proveniente dal passato conl’aria del presente. Nel momento in cui unii l’olfatto alla vista, la mia bocca si aprii in un enorme sorriso per lo stupore: davanti a me una serie di file interminabili di cavalieri a grandezza naturale disposti perfettamente in ordine uno accanto all’altro. Mi sembrò di tornare indietro nel tempo e cominciai a immaginare, come nei film, di trovarmi nell’antica Cina dell’età imperiale, di fronte a questo esercito non più in terracotta e completamente immobile ma animato da nuova linfa vitale e reso ancora più affascinante dal luccicante colore delle uniformi.
La stessa sensazione di atemporalità la ebbi quando per puro caso, dopo una visita alla Torre del Tamburo, mi ritrovai all’interno di una stretta via interamente occupata da miriadi di bancarelle che vendevano cibo e bibite.
Ero entrata nel quartiere musulmano. Lì fui attratta da ogni cosa, dal profumo d’oriente, dalle bizzarre pietanze, dai colori delle spezie e dei legumi, dal chiacchierio della gente e dal loro abbigliamento tipico di una ristretta etnia.
Decisi di perdermi, di abbandonare la certezza di dove stessi andando e di seguire solo il mio istinto, scorgendo suggestivi angoli laterali al viale alberato fino al mercato coperto, una sorta di souk più ridotto dove si ha la possibilità di trovare qualsiasi cosa.
Fui positivamente satura di informazioni.

viaggiare da sola in Cina
La mia seconda meta mi aspettava: il monte Éméi Shān, nello Sìchuān.
Feci diciotto ore di viaggio, dormendo in un treno notturno dove un solo vagone conteneva più di 50 cuccette. Mi ritrovai a essere l’unica occidentale in mezzo a sconosciuti provenienti da ogni parte della Cina, accomunati dal fatto di dover condividere lo stretto spazio in un lasso di tempo molto ampio.

Inizialmente fui un po’ sul “chi va là”, ma dopo qualche istante e grazie ad alcuni sorrisi amichevoli mi sentii più rilassata e a mio agio. Quello che mi stupì fu la disponibilità di quegli estranei nei miei confronti. Per tutto il tragitto mi diedero cibo e bibite, si interessarono alla mia persona cercando di comunicare sia a parole che a gesti, un po’ di cinese da parte mia e qualche parola di inglese da parte loro, mi raccontarono vecchie storie riguardo il loro paese e mi fecero sentire parte del gruppo.

Una volta arrivata ai piedi della montagna il paesaggio cambiò radicalmente rispetto a quello precedente.
Finalmente ero immersa in quella natura che tanto avevo desiderato.
Mi fermai tre giorni. Nonostante il clima alquanto variabile, si passa dal sole alla pioggia in pochi secondi, decisi che dovevo assolutamente vedere il grande Buddha scolpito nella roccia nel letto di un fiume a Lèshān.

Con il mio mini ombrello ormai usurato, presi coraggio e mi incamminai.
Fui molto fortunata perché incontrai due coppie di anziani cinesi che mi presero sotto la loro ala e mi accompagnarono all’interno del grande parco, narrandomi antiche leggende e facendomi vedere come avvenivano i riti di preghiera nei confronti delle loro divinità.
Fu un momento indimenticabile.
Così tra chiacchiere e racconti, arrivammo finalmente all’enorme statua rocciosa. Quando mi avvicinai, non potei credere ai miei occhi. Le proporzioni sono davvero spaventose: la mia altezza era pari a quella del lobo di un orecchio. Davvero incredibile.
La cosa particolare è che si può godere di tutta la sua maestosità grazie ad una scalinata laterale che da la possibilità ai turisti di scendere per tutta la lunghezza del corpo fino a ritrovarsi ai suoi piedi.
Un vero e proprio scenario da film. Se non lo avessi visto con i miei occhi, non ci avrei mai creduto.
Il mattino dopo, nonostante la stanchezza, mi svegliai all’alba per risalire il naturale e imponente monte Émèi. Sprovvista di scarponi da montagna, decisi di affrontare la natura selvaggia anche senza l’attrezzatura adeguata. Camminai per più di otto ore, senza mai sedermi e mangiando al volo. Quasi mi dimenticai di respirare assorta com’ero dal paesaggio circostante. Enormi alberi verdi dalle foglie di mille formati, insetti, uccelli di ogni tipo avevano la mia attenzione, perché desiderosa di osservarli nel loro habitat naturale. Passai dallo stretto sentiero su per la montagna all’altro versante costituito interamente da rocce separate da un torrente, dove poter camminare su monti sospesi e guardare da vicino la zona ecologica delle scimmie, anche se si rischia di essere attaccati da quest’ultime, proprio come successe a me.Solo quando, la sera, tornai in ostello tutte le forze crollarono e solo quando vidi i miei piedi gonfi come meloni realizzai il grande sforzo che ebbi fatto.
Ma il guadagno interiore che acquistai valse ogni fatica.
Nei successivi quattro giorni mi spostai a Kūnmíng, nello Yúnnán.
Come al solito grande città, tanto traffico e locali per turisti. L’unica cosa da vedere è la Foresta di Pietra. Ci andai in un giorno così caldo che per uscire dovetti non solo mettermi un chilo di crema protettiva ma anche un berretto e uno scialle per proteggermi dal cuocentesole.
Questo posto dista circa tre ore dal centro città ma ci si può arrivare facilmente con l’autobus, anche se si ferma ogni 20 metri per far salire gente nonostante la scarsità di spazio libero.
Una vera e propria foresta di pietra, con massi rocciosi alti come grattacieli, cunicoli scavati tra le rocce, bizzarre forme delle cime scaturite dall’erosione nel corso degli anni per via delle variabili condizioni climatiche, una naturale dove ci si può addentrare non solo nel paesaggio montuoso ma anche in vaste pianure interamente adibite a risaie e ad altri ortaggi tipici della regione, dove si possono incontrare persone locali dedite al duro lavoro quotidiano nei campi, mai con una faccia triste ma sempre col sorriso sulle labbra e un saluto amichevole per ogni passante.

viaggiare da sola in Cina

Decisi di sfuggire al caldo soffocante e al rumore delle macchine cercando conforto e refrigerio in una città a 2400 metri: Lìjiāng.

Alcuni amici di Bĕijīng mi consigliarono vivamente di visitare questa cittadina, ma nel momento in cui ci arrivai, la mia opinione contrastò completamente dalla loro. Lìjiāng è una “piccola città” sulle montagne dello Yúnnán, suddivisa in due parti: la parte nuova e la parte vecchia, dove fortunatamente trovai un buon ostello.

Il primo impatto fu di fascino e magia, dati dalla posizione geografica della città vecchia che si sviluppa non orizzontalmente ma lungo la discesa di un monte. E’ composta da una serie di piccoli vicoli e torrenti che si possono percorrere unicamente a piedi, o in motorino per la gente del luogo, lungo i quali si sviluppano antichi edifici ad un solo piano caratterizzati da tetti spioventi, rendendo unico e inimitabile questo luogo.

Nel momento in cui mi addentrai per le stradine e vidi le persone accanto a me, mi resi conto che in realtà ero finita nella città più turistica del sud della Cina, dove la maggior parte dei negozi vende oggettistica per i turisti e dove le vecchie sale una volta adibite alla vendita di frutta e verdura ora sono state trasformate in moderni locali dallo stile occidentale o discoteche.

La delusione prese il sopravvento.
Ne parlai immediatamente con il titolare dell’ostello il quale mi consigliò, nel caso in cui avessi voluto conoscere più a fondo il modo di vivere del luogo, di prendere il bus e andare a Báishā.
Lo ascoltai, ma invece di muovermi con i mezzi di trasporto pubblici, decisi di usare le mie giovani e forti gambe.
Il tragitto durò alcune ore, durante le quali potei osservare e fotografare il fantastico paesaggio dinanzi ai miei occhi: distese di pianure coltivate dietro cui si stagliavano imponenti montagne innevate. Una diversità climatica davvero sconvolgente ma facile da prevedere se si pensa che si è vicini al confine con il Tibet. Una volta arrivata al villaggio, andai a far visita al dottor Ho Shi Xiu, un leggendario erborista diventato famoso grazie ad uno scrittore Bruce Chatwin, che creò il mito taoista del Monte di Neve del Drago di Giada di Lìjiāng in un racconto del 1986. Nonostante la veneranda età di novant’anni, cura quotidianamente i visitatori e gli abitanti del luogo con le erbe medicinali raccolte sulle montagne vicine.
Essendo stata la capitale al tempo del regno dei Naxi, si possono scorgere le differenze etniche tipiche di quello stile di vita negli indumenti fatti interamente a mano e nell’utilizzo di attrezzi e oggetti ancora del tutto rurali.
Dopo alcune ore mi incamminai per tornare all’ostello, fino a quando scorsi un vecchio cartello stradale che indicava la via per un tempio buddhista molto visitato dai contadini del posto. Decisi di dirigermi verso la cima della montagna e di rendere, così, omaggio a quella divinità perché quello che stavo provando e vivendo andava oltre la contingenza terrena. Lungo la via mi imbattei in diversi villaggi composti unicamente da vecchi capanni in una muratura azzardata e tetti di paglia. Si poteva capire, a prima vista, come queste persone vivessero con il minimo indispensabile cercando di autosostenersi attraverso la coltivazione dei campi e l’allevamento del bestiame.
La mia riflessione e critica nei confronti del troppo agio occidentale cresceva sempre di più.
Dopo diverse settimane in montagna, decisi che era arrivato il momento di vedere anche il mare, così presi un aereo da Kūnmíng all’isola di Hăinán, più precisamente con destinazione Sānyà.
Nonostante un tornado che accompagnò i miei primi giorni in quel paradiso sperduto, la settimana volò così veloce da non rendermene davvero conto. Non solo spiagge bianche e palme ma anche foreste verdi da percorrere in bicicletta e altre rare etnie cinesi con cui confrontare la propria cultura.

viaggiare da sola in Cina

Il relax in isola mi dette il tempo di rimettermi in forze per visitare la mia ultima città prima del rientro in Italia. Questa volta, a causa del visto, dovetti scegliere una meta al di fuori della Cina: Hong Kong.
Una metropoli sospesa nel mezzo, tra la cultura cinese che progressivamente sta influenzando tutti i piani sociali e una reminiscenza della vecchia colonia inglese. Mi prese alla sprovvista: è affascinante, intrigante, giocosa, moderna ma allo stesso tempo ancora legata alla tradizione dai piccoli ristoranti locali situati in vicoli poco frequentati e dove si possono assaggiare gustosi noodles. Il suo skyline non teme paragone con altre città internazionali e la sua posizione è più che strategica, essendo situata tra le montagne e il mare.

L’ultima sera, seduta a Victoria Harbour, mentre osservavo il gioco di luce degli edifici di fronte a me, tirai le somme sul mio viaggio.
Da una parte mi sembrò di essere stata via anni dal bagaglio culturale e dall’esperienza che mi ero fatta. Da sola, percorsi il grande continente cinese da nord a sud, contando solo sulle mie forze, cercando di oltrepassare ostacoli prima mai affrontati, con uno zaino, qualche cambio e pochi viveri. Dall’altra mi sembrò che il tempo mi fosse volato via senza darmi la possibilità di assaporare in fondo quel fantastico ambiente e facendomi pensare che avrei necessitato di altri mesi. Forse era solo una scusa per autoconvincermi a star lì e non tornare a casa.

Non so cosa mi porterà il futuro ma di una cosa sono sicura: non smetterò mai di fermarmi!
Prossimo viaggio dall’India all’Indonesia.

Jessica 

Psicologa e Viaggiatrice. Giro il Mondo e studio la personalità dei viaggiatori! Ho visitato più di 75 paesi molti dei quali da sola. Per me il viaggio è uno strumento di crescita personale. Ho creato questo sito per tutti quelli che amano viaggiare da soli o che vorrebbero iniziare a farlo. Ho pubblicato: Il Bello di Viaggiare da Soli: guida al travel coaching per ottenere il massimo da noi stessi edito Feltrinelli.

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