Lasciare tutto e scegliere di vivere nella Favela della Rocinha a Rio de Janeiro

Francesca Di Pietro Pubblicato il

[box style=’info’] Mi chiamo Marco Loiodice, pugliese di nascita; la mia base è a Milano da dieci anni. Mi sono laureato in ingegneria elettronica, ho lavorato per più di sette anni in Accenture come consulente nell’ambito dei sistemi informatici e per più di due in Mediaset come project manager nello stesso settore. A un certo punto della mia vita, ho deciso di lasciare questo tipo di lavoro e da quasi due anni vivo nella favela Rocinha di Rio de Janeiro e lavoro come project manager a supporto dei progetti di cooperazione internazionale de Il Sorriso de miei Bimbi Onlus, progetti di educazione infantile e formazione giovanile. Racconto il mio mondo del mio blog http://finestrasullafavela.wordpress.com/ così le persone possono avere uno sguardo più reale sulla vita di Favela. [/box]

1. Cosa porta una persona a lasciare un lavoro avviato, una vita tranquilla per trasferirsi a vivere in una Favela a Rio de Janeiro?

Avere un buon stipendio e accorgersi che non sai come spendere i soldi perché il tempo che ti viene lasciato libero dall’ufficio non è sufficiente a liberare nessuna delle tue passioni, che quindi man mano abbandoni. Ad esempio, mi piace viaggiare, ma se mi organizzavo per un fine settimana fuori, il giovedì prima di partire sentivo già l’angoscia del ritorno, dell’avvicinarsi di quel lunedì mattina nel quale tutto sarebbe stato come se non mi fossi mai mosso di casa. Di questo passo, a me è capitato che ho deciso che i fine settimana fuori non stavo neanche più a farli (e d’altra parte così ho cominciato a mettere da parte le risorse che mi hanno consentito di lanciarmi nel mio tentativo). Tutto il resto è il tuo ufficio, e allora ti rendi conto che è davvero più importante quello che fai dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18: questa è la tua vita, e in questa devi ritrovare pienamente te stesso.

vivere nella favela della Rocinha

2. Di solito molte persone che lasciano il lavoro tradizionale, cercano una qualità di vita migliore, tu credi di averla trovata a la Rocinha?

Sì, mi sveglio più volentieri nella prospettiva di ciò che dovrò fare durante la giornata. La domenica sera continua ad essere il momento peggiore della settimana, ma solo perché, chiaro, è sempre lavoro, e quindi non mancano i momenti di noia e di fatica. Però le energie si sono moltiplicate, perché qui nella favela Rocinha mi occupo di qualcosa che mi appassiona e che mi assomiglia.

3. Cosa vuol dire nella quotidianità vivere li?

Subindo e descendo, ridiscendendo e scalando! Nonostante lavori dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18 più straordinari, come un normale impiegato, qui la vita è piena di imprevisti, e bisogna sapersi adattare. Impari però, prima di tutto da gli abitanti della Comunità, che non c’è fatica fisica o mentale che si possa prendere come alibi: quello che devi fare devi fare. Svegliati, reagisci, adattati e vai avanti; tanto ogni giorno arriverà la sera. D’altra parte, con tutti questi bimbi in giro e le immagini di estrema umanità che ti trovi dietro a ogni angolo, non c’è sera nella quale tu non abbia la certezza di essere vivo.

vivere nella favela della Rocinha

4. La tua Rio, non è quella che sognano gli italiani per capodanno è quella dell’emarginazione, cosa ti ha insegnato?

Esatto. Ma la mia Rio è l’unione di quella degli italiani del capodanno – io sono italiano e il capodanno me lo passo volentieri a guardare i fuochi d’artificio a Copa: sono davvero spettacolari – con quella dell’emarginazione. La mia Rio è una composizione di enormi e a volte inaccettabili paradossi, che sono quelli di tutto il mondo; solo che qui ciascuna realtà ha il suo opposto letteralmente dall’altra parte della strada. Questa Rio mi ha insegnato che se davvero ti interessa conoscere una realtà e una cultura diverse, devi avere il coraggio di andare nel profondo, e viverle in pieno. In alternativa, sarai sempre libero di idealizzare il tuo mondo, ma è il tuo ideale immaginario che starai vivendo.

5. Come è la vita di un cooperante in Brasile?

La mia esperienza personale per il momento è limitata a Rio e, ancor più, alla favela Rocinha. Per voler aggiungere qualcosa a quanto già detto, diciamo che io ho il privilegio di aver incontrato Barbara Olivi, gli altri collaboratori de Il Sorriso dei miei Bimbi, e colui che traduce per noi la vita dei favela consentendoci di capirla meglio, il marito di Barbara, Julio, brasiliano che vive in Rocinha dall’età di 7 anni, ma che parla in modo fluente almeno 5 lingue. Lui è il senso della cooperazione, cioè riuscire a capire profondamente la realtà diversa nella quale ti trovi, e saper dare qualcosa di veramente utile prendendola dalla tua realtà e dalla tua esperienza. Per quanto riguarda il mettere in pratica ciò in una favela brasiliana, spesso la difficoltà principale è che la società, a causa di un falso pregiudizio e di molte altre ragioni storiche, tende a vedere la favela come luogo di criminalità piuttosto che come luogo di miseria e di grave carenza infrastrutturale, e per questo non è ben disposta a darti una mano.

vivere nella favela della Rocinha

6. La differenza tra la realtà e il pregiudizio su una favela?

Il pregiudizio: la favela Rocinha è abitata da 200.000 metà criminali che ti aspettano con il mitra in mano per spararti appena ci metti piedi, e metà da fannulloni approfittatori della parte sana della società . La realtà (o meglio, la mia opinabile realtà): la favela Rocinha è un luogo di grande umanità e di grave carenza di quei servizi base che dovrebbero garantire i diritti primari alla salute e all’educazione, abitata da una popolazione estremamente giovane (per alta natalità e bassa aspettativa di vita), una città di bimbi e di lavoratori che si spaccano la schiena per un salario irrisorio, e che costituiscono il vero motore della città (operai, spazzini, autisti, domestiche, macchinisti, portinai). Un luogo di grande umanità abitato da gente dall’indole pacifica che, di fronte ai quotidiani soprusi che è costretta a subire, sceglie di abbassare la testa in nome della vita.

7. C’è una persona che ti ha insegnato di più in questi due anni?

Ciascun abitante di favela, nel saper mettere in pratica quanto dicevo prima, nell’avere l’arte del vivere. Noi europei spesso accusiamo questa gente di non saper guardare lontano nel tempo. Siamo noi quelli negativi, in queste accuse, perché non vediamo il meglio: i brasiliani (e gli abitanti di favela sono brasiliani estremi) hanno la capacità di vivere il presente piuttosto che spendere una vita intera in funzione di un ipotetico futuro che non esiste.

Favela Rio de Janeiro

8. Quale è la cosa che ti mancherà di più in Italia?

Le persone, e in particolare i miei bimbi. Quelli che mi riconoscono, che corrono, ridono e mi abbracciano, a distanza di settimane, solo perché una volta ho regalato loro una collanina colorata.

9. Quale è la cosa che ti manca di più dell’Italia?

La profondità dei rapporti umani che puoi sviluppare con chi ha condiviso i tuoi luoghi, i tuoi accadimenti, i tuoi paesaggi, e infine una vita intera. Qui io ho trovato maggiori difficoltà, non solo con gli abitanti di favela ma anche con altri brasiliani, con i quali c’è un divario ancestrale difficilmente colmabile, a meno che, appunto, non ti resti ad un livello superficiale.

10. Il tuo momento più difficile?

Anche in riferimento a quanto dicevo prima, i momenti nei quali, anche in compagnia, non fai a meno di sentirti solo. Poi c’è un altro momento difficile, quello dell’unico pensiero triste che di tanto in tanto mi assilla mentre vivo qui e che so che mi accompagnerà anche quando tornerò a casa: il pensiero del futuro e delle opportunità che avranno per il loro futuro, i miei piccoli amici, i bimbi della favela Rocinha. Quelli che seguiamo noi avranno già qualche possibilità in più, ma so che in generale, molti dei meravigliosi, sorridenti ed educati bimbi che incrocio per i vicoli della favela sono destinati ad un futuro qui dentro senza aver mai avuto la possibilità di scegliere diversamente, e se saranno lavoratori onesti, andrà ancora bene. Naturalmente, a partire dal mio pensiero triste ricavo le energie per confermare la scelta di due anni fa e andare avanti in questa direzione.

Psicologa e Viaggiatrice. Giro il Mondo e studio la personalità dei viaggiatori! Ho visitato più di 75 paesi molti dei quali da sola. Per me il viaggio è uno strumento di crescita personale. Ho creato questo sito per tutti quelli che amano viaggiare da soli o che vorrebbero iniziare a farlo. Ho pubblicato: Il Bello di Viaggiare da Soli: guida al travel coaching per ottenere il massimo da noi stessi edito Feltrinelli.

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