Gianluca: dalla Ferrari al giro del mondo senza aerei al Giappone in bicicletta

Francesca Di Pietro Pubblicato il

Mi chiamo Gianluca, ho 30 anni, sono originario di un paesino in provincia di Padova, Montegrotto Terme. Sono laureato in Ingegneria Meccanica, ho sempre vissuto in Italia ma mi sono spostato parecchio. Prima a Torino, quando ero appena 21enne, dove ho fatto la Specialistica al Politecnico e poi ho lavorato per 3 anni e mezzo in una multinazionale americana nel settore dell’automotive. 3 anni fa sono stato assunto alla Ferrari e mi sono quindi trasferito a Modena, dove ho vissuto e lavorato fino alla mia partenza, a inizio Febbraio. Ho sempre avuto una grande passione per il viaggio nel senso più profondo del termine. Nelle estati da studente ho viaggiato solo in Europa, sempre con pochi soldi. Un’estate con la mia ex fidanzata ho girato in macchina la Puglia dormendo in tenda. L’anno successivo in 3 settimane sono partito da Torino e ho percorso, sempre in macchina e campeggiando, tutta la costa meridionale francese e quella spagnola, fino ad arrivare a Tarifa, per poi tornare fino a Torino passando per il nord della Spagna. La mia vita da viaggiatore solitario è iniziata invece 5 anni fa, quando ho fatto il Cammino di Santiago, percorrendo a piedi 700km sulla “ruta del Norte”, da Bilbao a Santiago. È sicuramente stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita e che mi ha dato una grande spinta nel voler iniziare a scoprire il mondo e me stesso, viaggiando in solitaria. Negli ultimi 3 anni ho viaggiato molto anche fuori dall’Europa ed è stato lì che ho capito che presto sarebbe nata una nuova avventura.

  1. Come mai hai deciso di fare il giro del mondo senza aerei?

Come avrai capito ho una grande passione per il viaggio, ma soprattutto per l’avventura. Ho passato gli ultimi sei anni della mia vita (quelli in cui ho lavorato) chiuso in un ufficio, aspettando le ferie estive o quelle invernali per poter volare alla scoperta di qualche paese sconosciuto. Poi quei 15-20 giorni di ferie hanno iniziato a non bastarmi più. Sognavo un’avventura a lungo termine, ho iniziato a leggere libri di viaggiatori che avevano percorso migliaia di chilometri in anni di viaggio. Provavo invidia nei loro confronti, nel senso buono del termine ovviamente, mentre io mi sentivo recluso in ufficio e costretto a seguire quella strada che era il normale proseguo di ciò che avevo intrapreso molti anni prima, iscrivendomi all’università.

Pian piano in me è nata una consapevolezza sempre più forte, quella che prima o poi l’avrei fatto. Ricordo che 3 anni fa, qualche settimana prima di iniziare il nuovo lavoro in Ferrari, viaggiavo verso Milano con alcuni amici, tornando da una festa di laurea di un mio amico marchigiano. Chiacchieravamo sulla vita lavorativa e dissi a Daniele, un un mio amico toscano, che prima o poi l’avrei fatto, avrei lasciato tutto e sarei partito per fare il giro del mondo. Questo mi fa capire di quanto già allora fossi consapevole di voler fare questa esperienza. Era una flebile fiamma che ardeva dentro di me, e che negli ultimi 3 anni ho avuto la determinazione e il coraggio di alimentare, invece di gettarci acqua per smettere di pormi domande e vivere più serenamente e con gratitudine ciò che la vita mi aveva già regalato. Avevo un lavoro da sogno, in un’azienda da sogno, con un’ottimo stipendio e possibilità di fare carriera. Ma non mi bastava, poteva anche essere il sogno di tanti, ma molto semplicemente non era il mio. Ci ho messo molto tempo per convincermi a fare il grande passo, e devo dire che mi sono sentito in alcuni momenti come un bambino capriccioso che non si accontenta di tutto ciò (molto) che ha. Ma ho imparato negli anni ad ascoltarmi, a conoscermi, e alla fine ho deciso di rispettare la mia natura, di seguire il mio istinto e di lasciare da parte la razionalità.

Perchè?

Prima di tutto per essere un uomo migliore, e poi perchè sono convinto che seguire i propri sogni renda un essere umano profondamente felice. Di conseguenza, quando una persona è felice e si sente realizzata, può dare il suo piccolo contributo per rendere il mondo un posto migliore, illuminando di riflesso tutto ciò che gli sta  intorno.

Venendo al viaggio, credo che sia la scuola di vita migliore che ci sia. Oltre a farci conoscere il mondo, viverne la meraviglia, ampliare i nostri orizzonti e renderci meno ignoranti e più aperti verso il prossimo, credo che un viaggio di questo tipo sia un’esperienza profondamente costruttiva e di crescita interiore, che ha il potere di farti acquisire una profonda consapevolezza e conoscenza di te stesso, oltre del mondo in cui viviamo.

Ho deciso di fare il giro del mondo senza prendere aerei perchè credo che volare da un posto all’altro tolga avventura e un parte di verità al viaggio stesso. Sicuramente questa scelta aggiunge delle difficoltà, specialmente logistiche, e allunga i tempi di percorrenza, ma d’altro canto parte alcune esperienze, incontri e scoperte non avrebbero luogo, specialmente perchè muoversi senza volare significa attraversare zone meno turistiche, meno battute, immergendosi completamente nei posti, nella cultura e tra la gente. In questo modo credo si possa vivere più facilmente il viaggio nel suo senso più profondo.

  1. Chi o cosa ti ha ispirato verso questa avventura?

Nel corso degli ultimi anni ho iniziato a seguire diversi viaggiatori “professionisti” e a leggerne i rispettivi libri. Tra i tanti direi che quelli che più mi hanno ispirato sono stati:

Carlo Taglia (Vagamondo), viaggiatore torinese che ha iniziato la “carriera” viaggiando per 528 giorni attraverso 24 nazioni senza mai prendere aerei (autore di “La fabbrica del viaggio”, “Vagamondo“, “Vagamondo 2.0“, “Vagamondo 3.0 e “Quel primo passo, la cruda storia di Vagamondo“)

Claudio Pellizzeni (Trip Therapy), viaggiatore piacentino la cui storia è più simile alla mia: all’età di 32 anni ha lasciato il lavoro in banca e ha realizzato in 1000 giorni di viaggio il giro del mondo senza prendere aerei, attraversando i 5 continenti (autore di “L’orizzonte ogni giorno un po’ più in là“, “Il silenzio dei miei passi” e “In Viaggio“)

Gianluca Gotto, autore del blog Mangia Vivi Viaggia e nomade digitale, vive da anni viaggiando in giro per il mondo lavorando in remoto, gestendo il suo blog, validissima fonte di ispirazione per i viaggiatori, e autore di “Le coordinate della felicità” e “Come una notte a Bali

Le esperienze di queste persone in particolare, ma anche di altre, mi hanno fatto capire che realizzare i propri sogni è possibile. Basta crederci e avere il coraggio di inseguirli.

  1. Come hai organizzato questo viaggio così particolare?

Come sanno bene i viaggiatori, l’organizzazione è la parte più difficile del viaggio, soprattutto se si tratta di un viaggio del genere. Ho impiegato circa 3-4 mesi per preparare tutto, prima della partenza. Ho iniziato con lo studio e la stesura di un itinerario di massima. Essendo amante del caldo, la mia idea inizialmente era quella di scendere sui Balcani e percorrere dalla Turchia la via della seta, passando per l’Iran e attraversando le repubbliche dell’Asia centrale (Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan, per poi entrare in Cina e dirigermi verso il Tibet, la porta per l’ingresso in India. A un mese dalla partenza, a inizio Gennaio, ho però stravolto tutto: le tensioni tra Iran e USA dopo l’uccisione del generale Soleimani mi hanno portato a cambiare completamente rotta, optando per la via più a nord, la Transiberiana. Avrei quindi attraversato la Russia fino al lago Baikal, per poi deviare sulla Transmongolica ed arrivare in Cina a Pechino. Da lì sarei sceso fino a Shangai, avrei preso un traghetto per il Giappone, e sarei tornato in Cina per attraversarla fino al sud-est asiatico.

Devo dire con il senno di poi che questa decisione si è rivelata la migliore che potessi prendere. La pandemia che si è diffusa in tutto il mondo durante il mio primo mese di viaggio mi avrebbe bloccato, probabilmente in Turchia o in Iran, mentre prendendo la Transiberiana sono riuscito a “fuggire” dal virus, arrivando appena in tempo per poter entrare in Giappone.

Una volta scelto l’itinerario della prima parte del viaggio mi sono precipitato a Milano a fare i visti che necessariamente bisogna fare prima di arrivare alla frontiera, cioè il visto russo e quello cinese. Non ho avuto il tempo di fare il visto mongolo, ma leggendo informandomi ho capito che era possibile farlo in Russia, a Mosca o a Irkutsk, vicino al confine con la Mongolia.

Nel frattempo tra dicembre e gennaio ho fatto tutti i vaccini più importanti ed essenziali per viaggiare in sicurezza: febbre gialla, epatite A, parotite, rubeolica, meningococco, e richiami per rabbia, tetano, difterite, morbillo e pertosse.

Ho poi stipulato una polizza assicurativa che coprisse, in tutti gli stati del mondo, eventuali spese mediche per ricoveri o altre tipologie di problemi sanitari, e il furto delle attrezzature di valore (camera, pc, portafoglio, etc.). La polizza stipulata mi copre per i primi 15 mesi di viaggio, ma sarà estendibile al termine di tale periodo.

Gennaio l’ho dedicato all’acquisto di attrezzatura e indumenti tecnici per il viaggio: giacca con guscio esterno in Goretex, scarponi da trekking, pantaloni impermeabili, sacco a pelo per basse temperature, una buona e soprattutto leggera tenda, ecc.

Non sono uno a cui piace programmare nel dettaglio e prenotare tutto (alloggi, mezzi di trasporto, ecc). Mi piace avere la libertà, mentre viaggio, di lasciarmi guidare dagli eventi e dagli incontri, senza dover rispettare una tabella di marcia. Voglio potermi fermare se lo desidero, o cambiare strada se lo reputo opportuno. Così l’unica cosa che ho prenotato prima della partenza sono stati i viaggi in Flixbus dall’Italia alla Polonia e gli altri pullman che mi avrebbero portato fino a San Pietroburgo, in Russia. Prenotandoli in anticipo ho risparmiato parecchio (per esempio i tre pullman che mi hanno portato da Vilnius a Riga, da Riga a Tallin, e da Tallin a San Pietroburgo li ho pagati in totale 15€).

Per quanto riguarda il viaggio in transiberiana, che per me sarebbe partito da San Pietroburgo, diversi siti consigliavano di prenotare i biglietti delle varie tratte ferroviarie in anticipo, specialmente in alta stagione, quindi ho pensato di non farlo. Ho pensato che non ci fossero così tanti matti da voler attraversare la Siberia in pieno inverno!

Per il resto avrei organizzato strada facendo, a seconda degli eventi e di cosa avrei voluto fare, lasciandomi massima libertà di scelta.

  1. Come si gestisce il budget per un viaggio del genere?

Innanzitutto ho fissato, basandomi su esperienze di altri viaggiatori che hanno girato il mondo, il budget medio di spesa giornaliera: 25€/giorno. Non è poco, se si pensa al costo della vita nel sud-est asiatico o in sud america, ma ovviamente non è sufficiente per vivere in altri paesi che voglio attraversare, come per esempio Australia, Canada e Stati Uniti.

Questa somma include tutte le voci di spesa durante il mio viaggio: cibo, alloggi, mezzi di trasporto, costi dei visti, e di qualsiasi altra cosa. I soldi che sono riuscito a raccimolare vendendo la macchina e la moto e recuperando il TFR mi dovrebbero bastare per 20-24 mesi di viaggio. Se sarò bravo a spendere meno, il mio viaggio durerà anche di più.

Devo essere sincero, all’inizio di questa avventura sono partito con le mani un po’ bucate, soprattutto nelle prime due settimane passate in Giappone, a Tokyo. Il Giappone è un paese relativamente costoso, è risaputo, forse il più costoso in Asia dopo Singapore. Sto però imparando, giorno dopo giorno, come risparmiare denaro che prima spendevo un po’ troppo facilmente: per esempio mangiando nei posti giusti, o le cose giuste, e soprattutto vivendo un po’ più all’avventura, dormendo spesso in tenda, facendomi ospitare tramite Couchsurfing, o lavorando in cambio di vitto e alloggio con Workaway. Fuori dalle città non ci sono ostelli e una camera costa come minimo tra i 30 e i 40€/notte, quindi mi arrangio con la tenda o cerco ospitalità nelle case dei giapponesi che, devo dire, sono molto generosi.

Viaggiare a lungo con un budget ridotto richiede sicuramente spirito di adattamento, rinuncia di molte comodità e di tutto ciò che è superfluo, non strettamente necessario. Ma benchè questo possa sembrare agli occhi di molti più una tortura che un piacere, il vivere con semplicità, spendendo pochi soldi e rinunciando a molte cose inutili mi sta insegnando molto e mi sta insegnando molto. Possedere poche cose e tenere solo lo stretto necessario rende più felici e leggeri di quanto si possa pensare. Il mio zaino, per esempio, strada facendo si sta alleggerendo. Mentre lo preparavo, circa 4 mesi fa, avevo paura di dimenticare cose che mi sarebbero potute servire, e così l’ho caricato fino a raggiungere 28kg totali, divisi in due zaini. Ora che sono sulla strada mi rendo conto di ciò che veramente mi serve e di ciò che invece è superfluo, così ho alleggerito già di qualche kg e credo lo alleggerirò ulteriormente nei prossimi mesi. Ho capito che viaggiare con uno zaino più leggero mi fa sentire più libero, meno preoccupato delle cose che possiedo e di conseguenza più aperto verso il prossimo.

  1. Ci racconti cosa è successo durante la pandemia ?

Sono partito per il mio viaggio l’8 Febbraio di quest’anno, quando il Covid-19 in Italia ancora una minaccia nascosta, mentre tutti guardavano alla Cina, dove il problema era ben più evidente. Circa due settimane dopo la mia partenza mi trovavo già in Russia, a Mosca, quando sentii dei primi casi registrati in Italia. Ben presto tutti si sarebbero accorti della gravità della situazione. In Russia in quel momento era tutto tranquillo, erano stati registrati pochissimi casi (probabilmente perchè non si facevano test) e il governo taceva. Un giorno andai all’ambasciata mongola a Mosca per richiedere il visto prima di partire sulla transiberiana. Mi fecero parecchie storie quando vedero il mio passaporto italiano con all’interno il visto cinese. Spiegai che avevo lasciato l’Italia prima dell’esplosione dei contagi e che il visto cinese l’avevo fatto prima di partire, ma che ovviamente non sarei andato in Cina. Mi dissero che volevano i biglietti di ingresso e di uscita dal loro paese e, visto che prevedevo di entrarci in pullman, pensavo di comprarli direttamente a Ulan Ude, città siberiana al confine con la Mongolia. Provai a fare un po’ di ricerche per vedere se possibile prenotare un pullman online, ma non esisteva un sito ufficiale (come quello delle ferrovie russe), ma solo diverse agenzie che si occupavano della prenotazione, ovviamente con un buon rincaro. Tornai all’ambasciata chiedendo di indicarmi dove avrei potuto prenotare un biglietto per un pullman per entrare in Mongolia e non mi seppero rispondere. Mi dissero però che in tal caso avrei potuto fare il visto al consolato di Ulan Ude, una volta arrivato lì e dopo aver comprato i biglietti per il trasporto in ingresso e in uscita.

Iniziai dunque il mio viaggio sulla transiberiana entrando dopo quanche giorno di treno in Asia. A quel punto in Italia il numero di casi saliva vertiginosamente e il governo aveva disposto la quarantena, dapprima nelle zone in cui si erano sviluppati i principali focolai, e poi estendendola pochi giorni dopo su tutto il territorio nazionale.

In Russia era ancora tutto tranquillo, in quel momento mi trovavo in terra neutrale tra i due fuochi (la Cina da un lato e l’Europa dall’altro) e pensai che ero stato fortunato, perchè se fossi partito solo un paio di settimane dopo avrei avuto grossi problemi ad entrare in Russia, o forse non ci sarei neanche mai entrato.

Arrivai dopo qualche altro giorno di treno sul lago Baikal, nella Siberia orientale. Uno spettacolo unico, passai 3 giorni con un gruppo di 30 colleghi russi che andavano in vacanza sul lago. Arrivai dunque ad un crocevia: entrare in Mongolia per poi tornare in Russia (in Cina non ci volevo di certo andare in qual momento) e proseguire fino a Vladivostok, o andarci direttamente? Sognavo i paesaggi sconfinati della Mongolia, e così andai al consolato mongolo a Irkutsk, dove mi dissero che la situazione nel paese non era delle migliori: la gente non poteva uscire dalle città, e le strade erano chiuse per limitare gli spostamenti. Decisi comunque di provare e il giorno dopo mi spostai a Ulan Ude per acquistare il biglietto del pullman che mi avrebbe portato a Ulan Bator, e fare il visto. Quando mi recai alla stazione dei pullman mi dissero però che il servizio era sospeso, e l’unico modo per entrarvi era il treno. Andai quindi al consolato per capire se si potesse entrare in sicurezza nel paese, e mi dissero che proprio quel giorno avevano registrato il primo caso, un turista francese, e che stavano attendendo indicazioni dal governo. Mi dissero di tornare il giorno dopo, quindi tornai in ostello. Arrivò quella sera un ragazzo svizzero, Kevin, che stava facendo esattamente il mio stesso viaggio. Mi raccontò che la sera precedente si trovava sul treno per Ulan Bator, e che prima del confine mongolo salirono sul treno dei poliziotti che cominciarono a misurare la febbre ai passeggeri e lo informarono che, se fosse entrato nel paese, avrebbe dovuto fare due settimane di isolamento in quarantena. Scese alla stazione successiva, prima di entrare in Mongolia. Non aveva senso passare due settimane chiusi in una camera per poi averne solo due per girare, a patto che si potesse, un paese così sconfinato.

Kevin mi tolse quindi qualsiasi dubbio mi fosse rimasto. La mia destinazione sarebbe stata il Giappone. In quei giorni monitoravo di tanto in tanto la situazione contagi nei vari paesi, e il Giappone, seppur fosse stato uno dei primi paesi colpiti dopo la Cina, insieme alla Corea, nelle ultime settimane non aveva visto grandi incrementi del numero di contagiati, rimasti quasi invariati a circa 6000 persone. In italia nel frattempo si contavano già 25000 contagiati.

Prenotai quindi un treno per il giorno dopo, destinazione Vladivostok. Dopo 2 giorni e mezzo di treno arrivai nella città più orientale della Russia. Lì mi si presentò un altro problema, come andare in Giappone senza prendere un aereo. Nelle settimane successive avevo cercato disperatamente una soluzione. C’erano dei traghetti che da Vladivostok andavano in nella parte settentrionale del Giappone, ma erano stati sospesi vista la situazione Covid-19. Mentre viaggiavo verso Vladivostok studiavo una soluzione alternativa. Mi rimanevano 5 giorni, il visto russo sarebbe scaduto il 15 Marzo. Sapevo dell’esistenza di un altra tratta che collegava un porto russo a circa 1000km a nord di Vladivostok con l’isola russa di Sachalin. Da lì avrei potuto prendere un altro traghetto per spostarmi sull’isola di Hokkaido, in Giappone.

Purtroppo scoprii che anche quella tratta era stata sospesa, in quanto Hokkaido era stata la zona più colpita del Giappone. Mi sentii come un topo in trappola, chiuso nell’angolino, con la Cina ostacolo insormontabile sotto di me e senza via d’uscita. Pensai che se volevo continuare, l’unico modo era prendere un aereo, anche perchè dalla Russia sarei comunque dovuto uscire entro 2 giorni, e non avevo tempo, nè aveva senso, tornare verso l’Europa, ormai sempre più fortemente colpita dal Covid-19. Due giorni dopo volai in un paio d’ore da Vladivostok a Tokyo, sapendo che avevo “infranto” la mia regola per cause di forza maggiore, e comunque per un volo molto breve che altrimenti sarebbe stato un viaggio in traghetto di due giorni.

In Giappone la situazione mi si presentò tranquilla, così come l’avevo vissuta in Russia. Tokyo era piena di gente in giro. La metropolitana, le strade, i ristoranti, i parchi, i quartieri di Shinjuku, Shibuya, erano tutti pieni di gente. Forse meno del solito, ma ricordo mi impressionò vedere quel formicaio di gente muoversi per le strade, forse anche perchè venivo da qualche migliaio di chilometri osservando dal finestrino la desolazione della steppa siberiana.

A Tokyo incontrai un mio compaesano che era arrivato qualche settimana prima per un assegno di ricerca all’Università. Passai qualche giorno insieme a lui e ai suoi colleghi, tutti giovani, in un clima di assoluta spensieratezza, mentre nel resto del mondo vedemmo la situazione aggravarsi sempre più in fretta.

Circa 5 giorni dopo il mio ingresso in Giappone, il governo decise di chiudere le frontiere, anche alla Russia e a molti altri paesi europei e asiatici (lo era già per Cina, Iran, Corea e Italia).

Ero entrato appena in tempo!

Kevin il ragazzo svizzero che era rimasto sul lago Baikal qualche giorno in più, era rimasto chiuso fuori, e aveva deciso di volare in Thailandia, dove la situazione sarebbe poi peggiorata molto velocemente.

Non ero del tutto tranquillo per la situazione giapponese. Mi sembrava strano come nel resto del mondo il numero dei contagi salisse così rapidamente, mentre in Giappone si contavano pochi casi al giorno. Pensai che il governo stava provando a mantenere la situazione “sotto controllo”, specialmente perchè in estate si sarebbero dovute svolgere le Olimpiadi. Si discuteva se rinviarle o meno, ma non era stata ancora presa nessuna decisione. Qualche giorno dopo il Comitato Olimpico comunicò che le Olimpiadi sarebbero state posticipate di un anno. In quel momento ho iniziato a temere che di lì a pochi giorni la situazione sarebbe esplosa. E infatti pochi giorni dopo i telegiornali giapponesi parlavano già di aumento di casi nell’area metropolitana di Tokyo. Pensai che fosse il preludio ad un lockdown, e che sarebbe stato meglio spostarmi da quella zona, prima di ritrovarmici chiuso dentro.

Nel frattempo in queu giorni avevo deciso che avrei attraversato il Giappone in bicicletta. Vista la situazione nel resto del mondo pensai che avrei dovuto passare molto tempo in Giappone, avevo tre mesi di visto, e la bicicletta coniugava altre due esigenze fondamentali: quella di rimanere nel budget di spesa prestabilito (i mezzi di trasporto sono un’importante voce di spesa, e in Giappone sonorelativamente costosi) e allo stesso tempo quello di mantenere le distanze sociali e di evitare i luoghi sovraffollati e i contatti ravvicinati con le persone. Comprai una bici usata, un “carretto” monoruota fissato sulla ruota posteriore su cui caricai i miei zaini, e partii in direzione del monte Fuji. In qualche giorno sarei stato fuori dalla prefettura di Tokyo, al “sicuro” in caso di lockdown. E così è stato. Qualche giorno dopo la mia partenza da Tokyo, il governo giapponese ha dichiarato lo stato di emergenza nella prefettura di Tokyo e in altre 6 prefetture. Un paio di settimane più tardi, l’emergenza è stata estesa a tutto il territorio nazionale. Questo però, a differenza di quello che è successo in tanti paesi del mondo, non ha significato un lockdown totale, ma semplicemente l’applicazione di alcune misure restrittive come la chiusura dei ristoranti, di musei, mostre e altri luoghi di assembramento. Il governo giapponese ha rispettato ciò che è scritto nella Costituzione, garantendo ai cittadini la possibilità di uscire dalle loro abitazioni, e stabilendo regole mirate per limitare i contagi. Qui non è mai stato imposta alcuna quarantena, e la gente ha continuato a lavorare, uscire di casa (magari limitando le uscite al necessario) e spostarsi. Essendo i giapponesi un popolo che per cultura ha profondo rispetto per le regole e un limitato contatto sociale, la situazione è sempre rimasta sotto controllo. Così per me è stato possibile continuare il mio viaggio in bicicletta attraverso il paese, percorrendo ad oggi circa 1000km, da Tokyo all’isola di Shikoku, dove mi trovo adesso.

Non credo avrei potuto essere in un posto migliore, durante questa pandemia.

  1. Come è viaggiare in bicicletta in Giappone?

Premetto che questa è per me la prima volta che viaggio in bicicletta, quindi non ho esperienze in altri paesi. Posso però dire che il Giappone è un ottimo paese per i cicloviaggiatori. Le strade sono ottime, ci sono piste ciclabili ovunque e ogni galleria o ponte ha un passaggio laterale per pedoni e ciclisti. Raramente mi sono trovato in difficoltà lungo il mio percorso.

Un altro vantaggio che offre questo paese è il fatto di essere molto sicuro. Se si ha con sè l’attrezzatura da campeggio, è possibile quindi fermarsi praticamente ovunque per dormire. Considerando che fuori dalle città gli ostelli non esistono e le camere sono molto costose, questo rappresenta un grande vantaggio per contenere le spese, oltre ad offrire la massima flessibilità negli spostamenti.

La mia giornata tipo in bici prevede la partenza dopo un’abbondante colazione, verso le 9 di mattina. Pedalo per tre ore, con una pausa a metà in cui mangio e bevo qualcosa. Poi per pranzo faccio una pausa più lunga, di un’ora o un’ora e mezza. Mangio solitamente qualcosa di pronto, senza cucinare, comprato in un convenience store (il Giappone è disseminato di questi minimarket aperti 24h/24). Poi riparto e pedalo per altre 3 ore nel pomeriggio, con un’altra pausa nel mezzo, arrivando a destinazione verso le 17, prima del tramonto. In questo modo riesco a percorrere una media di 60-70 km al giorno.

  1. Come ti sei comportato rispetto al viaggio durante il lockdown?

 

Come dicevo rispondendo alla domanda numero 5, non ho mai vissuto il lockdown. Ho temuto all’inizio della mia esperienza in Giappone, dopo il rinvio ufficiale delle Olimpiadi, che potesse essere imposto dal governo giapponese, ma ciò non è mai accaduto.

Inevitabilmente il lockdown degli altri paesi asiatici (la grande maggioranza), sta influenzando il mio viaggio. Al momento non ho la possibilità di muovermi da Giappone in un altro paese, infatti ho chiesto e ottenuto il prolungamento del visto per ulteriori 90 giorni, fino al 10 Agosto. Dovrò temporeggiare, spero non troppo a lungo, attendendo che i confini vengano riaperti. In mio piano orignariamente prevedeva di rientrare in Cina da Giappone (il mio visto cinese è valido fino a Luglio), ma valuto in alternativa di andare, sempre via mare, in Sud Corea o a Taiwan. Nel frattempo, per limitare le spese, sto facendo qualche esperienza di lavoro volontario tramite Workaway, in cambio di vitto e alloggio. Questo mi permette di spendere pochissimi soldi e di spostarmi lentamente verso il sud del paese attendendo la riapertura dei confini e dei trasporti marittimi.

  1. Dove dormi mentre viaggi in bicicletta in Giappone e come ti sposti tra le isole?

 

Spesso dormo in tenda, sistemandomi in spiaggia, o in qualche parco, o sulle rive di un fiume. Quando trovo un ostello che costa poco ne approfitto per dormire più comodamente e farmi una doccia, ma come detto fuori dalle città non ce ne sono molti e le camere hanno solitamente prezzi elevati (minimo 30-40€). Mi è capitato di dormire anche in un bagno pubblico (molto puliti e spaziosi) di fronte al porto della città di Uno, in attesa del traghetto che alle 6 di mattina mi avrebbe portato sull’isola di Naoshima e poi su quella di Shikoku.

Quando dormo in tenda per lavarmi utilizzo le doccie che sono presenti in alcune stazioni di servizio o, quando non ne trovo, utilizzo i bagni pubblici, presenti in ogni parco, stazione ferroviaria o porto.

Per spostarmi tra le innumerevoli isole giapponesi utilizzo i traghetti. Viaggiano con elevata frequebnza e costano relativamente poco, poichè si tratta solitamente di brevi traversate di non più di 30 minuti, in quanto le isole sono molto vicine tra di loro.

Per tornare da Shikoku all’isola principale di Honshū percorrerò invece lo Shimanami Kaido, un percorso stradale lungo 60 km che connette appunto Shikoku a Honshū, passando attraverso 6 piccole isole collegate tra loro da enormi ponti.

  1. Come si svilupperà il viaggio nei prossimi mesi?

Nelle prossime settimane mi muoverò verso l’isola di Kyūshū, nel sud del paese, fermandomi di tanto in tanto per lavorare qualche giorno o settimana in farm/guesthouse in cambio di vitto e alloggio, in attesa della riapertura dei confini e dei trasporti marittimi verso Cina/Corea/Taiwan.

Al momento non so quale di questi 3 paesi riuscirò a raggiungere, ma in ogni caso nei prossimi mesi mi sposterò verso il sud est asiatico, dove voglio visitare tutti i paesi: Vietnam, Laos, Cambogia, Thailandia, Myanmar, Bangladesh. Andrò poi in India e in Nepal. Voglio atraversare l’India da nord a sud, per arrivare allo Sri Lanka e poi raggiungere la Malesia e poi l’Indonesia.

Starò parecchi mesi in Asia, almeno fino alla fine di quest’anno, forse anche più, dipende sempre da quando la situazione si sbloccherà.

Al momento tutto è ovviamente incerto e il mio piano originale è andato a farsi benedire. Ma vivo giorno per giorno, senza preoccuparmi di ciò che succederà, e godendomi ogni attimo di questa magnifica avventura.

  1. Quale è la cosa più importante che hai imparato su di te ad oggi in questo viaggio?

Questo viaggio mi sta dando la possibilità di conoscermi molto in profondità. Ad oggi ho imparato che una cosa in particolare mi rende felice: aiutare gli altri.

Non so cosa farò e dove vivrò dopo questa esperienza, ma una cosa è certa. Mi cercherò un lavoro che vesta bene con la mia personalità e con i miei sogni e che, più che farmi diventare ricco in termini monetari, mi arricchirà l’anima. Non desidero cose, ma esperienze.

Di sicuro non potrei mai tornare a progettare macchine di lusso per ricchi, non è questo ciò che voglio fare nella vita, non è questo il mio scopo. Voglio avere un motivo per svegliarmi la mattina ed essere felice ed orgoglioso di ciò che faccio, e ho capito che aiutare le persone meno fortunate di me sia ciò che desidero di più.

Nei prossimi mesi, durante il mio viaggio, farò sicuramente qualche esperienza di volontariato, possibilmente in qualche orfanotrofio o comunque a contatto con i bambini, che amo profondamente. Prenderò contatti durante il mio giro del mondo con le diverse associazioni che operano nel sociale e troverò la strada giusta per me.

Ho imparato un’altra cosa in effetti di me in questo viaggio: a fidarmi del mio istinto. Se lo seguirò, sarò libero e mi porterà sempre sulla strada della felicità.

Psicologa e Viaggiatrice. Giro il Mondo e studio la personalità dei viaggiatori! Ho visitato più di 75 paesi molti dei quali da sola. Per me il viaggio è uno strumento di crescita personale. Ho creato questo sito per tutti quelli che amano viaggiare da soli o che vorrebbero iniziare a farlo. Ho pubblicato: Il Bello di Viaggiare da Soli: guida al travel coaching per ottenere il massimo da noi stessi edito Feltrinelli.

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