Divino Andino: Viaggi e Assaggi all’ombra della Cordigliera
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Divino Andino
Viaggi e Assaggi all’ombra della Cordigliera
di Francesco Antonelli
edito Polaris
“Il viaggio della vite per il mondo, e di conseguenza del vino, è come il viaggio dell’uomo. Si nutre del caso, degli incontri, di uomini visionari, grandi fallimenti, successi alle volte. È sempre di grande umanità. Francesco Antonelli è partito con questo istinto, con l’idea che la vite possa aver colonizzato un mondo nuovo senza il pesante bagaglio dell’esperienza. “Quando si viaggia da soli è un po’ come si viaggiasse con tutta l’umanità.”, scrive Francesco. Ed è questa disponibilità a rendere questo viaggio memorabile. Ci troverete dentro le tappe enologiche importanti di quei paesi, ma soprattutto la gente del sud del mondo e l’atmosfera magica di un continente, quello sudamericano, che ci somiglia, ma è pieno di invenzioni e identità. Il vino è un pretesto, è come sempre l’anima di una trama che parla soprattutto di uomini.”
Ho scelto di iniziare con l’introduzione al testo, scritta dal giornalista del Gambero Rosso Giorgio Melandri, perché contiene alcune parole molto interessanti.
Divino Andino è un romanzo che parla di vino, di sensi, di personaggi particolari, di un continente travolgente; ma prima di tutto, tra le righe, parla di motivazione al viaggio.
In quel tempo, sentivo di dover dare un nuovo senso a quelle giornate che erano diventate tutte uguali e stavano togliendo tempo prezioso alla mia crescita interiore.
Dovevo togliermi dalla testa che non sempre la parola crescita va di pari passo con la parola “carriera”.
Grazie alla mia compagna, Marisol, peruviana, ho conosciuto un mondo che per certi versi è ancora da esplorare: quello della cultura andina.
Il primo approccio con questa realtà è stata proprio attraverso quel senso che più mi piace: il gusto.
Quando ho deciso di partire, dopo le dimissioni da un lavoro che non mi entusiasmava più, avevo di fronte a me un’infinità di opportunità: dovevo solo capire come sfruttarle al meglio.
Decisi quindi di dedicarmi a qualcosa che amavo davvero fare.
Innanzitutto viaggiare, lentamente e con lo zaino in spalla.
In secondo luogo decisi di legare il senso di questo viaggio al senso del gusto e al vino, espressione che racconta meglio di tante altre il legame dell’uomo a un territorio e il suo rapporto con la natura.
Poi è iniziata l’avventura, durata circa cinque mesi.
Dal volo sulle linee di Nasca a Machu Picchu, passando per la valle di Ica, nel deserto costiero peruviano dove si produce il Pisco, distillato di vino nobile del Sud America.
Dalla Isla del Sol del Lago Titicaca al Salar de Uyuni, l’immenso deserto di sale dell’altopiano boliviano, con deviazione alla regione di Tarija, un luogo affascinante a duemila metri di altezza, ancora sconosciuta al mondo del vino internazionale.
A seguire la Ruta Numero 40 che da Salta arriva in Patagonia e corre parallela alla Cordigliera argentina, visitando Cafayate e Mendoza due luoghi altamente vocati al vino, il primo per il profumato Torrontes, bianco; la seconda per il finissimo Malbec.
Per finire l’arrivo a Santiago del Cile e la poetica Valparaìso di Pablo Neruda.
Quasi 9 mila chilometri tra bus, taxi e auto private, salendo e scendendo, surfando quell’enorme onda che è la Cordigliera delle Ande.
La mia compagna, Marisol è stata al mio fianco per buona parte del tempo, istruendomi su tutto quello che altrimenti non avrei capito.
Sul finale ho proseguito da solo.
Marisol era stanca, irritata, aveva perso qualsiasi motivazione a continuare, ma aveva capito che il mio viaggio non era ancora finito e mi ha incoraggiato a proseguire.
E’ in quel momento che ho sperimentato il piacere del viaggio in solitaria: “chi viaggia da solo è un po’ come viaggiasse con tutta l’umanità.”
E’ forse la sintesi del mio modo di viaggiare, orientato alla conoscenza dell’altro, senza gerarchie, senza preconcetti.
Divino Andino è anche questo: non solo romanzo di avventure e di assaggi, ma anche una grande elaborazione sul senso del viaggio e del viaggio come esperienza.
Nel mio caso è stato un momento necessario di riflessione e distacco, un piacere per la scoperta, un divertimento narrativo; per altri è ricerca interiore, per altri ancora si chiama emigrazione o voglia di riscatto.
Poi c’è stato il ritorno, e il tesoro che mi sono portato dietro da questa esperienza ho deciso di investirlo in qualcosa che continuasse a sostenere l’energia positiva che avevo riscoperto.
Proprio nel finale, a Valparaiso avevo riletto la poesia di Pablo Neruda, Ode al Vino.
Il suo ultimo verso ha dato un senso a quanto avevo fatto fino a quel momento.
“…e impari l’uomo oscuro, nel cerimoniale del suo lavoro, a ricordare la terra e i suoi doveri, a diffondere il cantico del frutto”.
Non era forse la mia missione? Cantare la vite e le sue più interessanti espressioni?
Da quel momento infatti ho deciso di mettere su carta tutti i vari appunti e considerazioni, iniziando per certi versi un nuovo viaggio, quello della scrittura.
Dopo un anno e mezzo di stesure e rifacimenti, finalmente è arrivata la pubblicazione, grazie a Polaris, casa editrice specializzata in guide turistiche e narrativa di viaggio che ha trovato la mia testimonianza assolutamente interessante e inusuale.
Il vino mi piace, non solo berlo, ma anche raccontarlo: il libro è partito tutto sommato bene.
Dopo il libro ho provato con un’altra avventura, la mia enoteca.
Anche questa fa parte di quel viaggio.
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