Il cammino di Santiago e lui a cercare te e non viceversa!

Francesca Di Pietro Pubblicato il

Mi chiamo Ernesto – ma se avete coraggio potete chiamarmi “Coimbra”, soprannome che ormai porto con orgoglio da un po’ di tempo – ho 28 anni e sono un avvocato abilitato con il difetto di essere tendenzialmente nomade e di coltivare simultaneamente il sogno di trasferirmi a titolo definitivo a Napoli – la nazione di cui sono pubblicamente innamorato da quando sono nato – se non in Spagna, la mia patria d’adozione. Siccome ultimamente penso e scrivo coi piedi, ho deciso di assecondare questa mia verve linguistica raccontando la mia esperienza sul blog http://sullastrada1.blogspot.com nel tentativo di diffondere la cultura del “viaggiare camminando”.

Ernesto nel Cammino di Santiago

1. Perche hai deciso di intraprendere il cammino di Santiago?

Io credo che sia stato il cammino a cercare me e non viceversa. Altrimenti non mi spiego come sia possibile che abbia notato i segni che ne indicano il passaggio ad Alicante, la città in cui ho trascorso l’erasmus, proprio nel mio ultimo di permanenza lì. Ricordo che quella sera ne parlai a lungo con un mio amico spagnolo e abbandonai il territorio iberico con la promessa di tornare proprio per percorrere il cammino di Santiago. In realtà, alla fine, sono passati due anni prima di compierlo per la prima volta, ma è bene ricordare che il mio primo approccio è iniziato proprio ad Alicante, la città che mi ha aperto al mondo e dove, per l’appunto, passa il “camino del sureste”. Ad ogni modo non c’è una sola specifica ragione per la quale ho deciso di intraprenderlo. Potrei dire che volevo trovare delle certezze e, zaino in spalla, sono partito alla loro ricerca, che volevo assaporare un modello di vita alternativo o che volevo sentirmi un pellegrino del Medioevo, ma la verità è che c’è sempre la compresenza di varie componenti in una decisione come questa: c’è la voglia di misurarsi almeno una volta nella vita e capire quanto si vale, ma c’è – almeno per quanto mi riguarda – il desiderio di porsi delle domande e darsi delle risposte. Prima di arrivare a Santiago, per non rovinarmi la sorpresa, non ho voluto vedere la cattedrale nemmeno in fotografia e ora posso dire che fu una scelta saggia: infatti, quando all’alba del 17 agosto 2011, me la sono trovata davanti, non ho potuto trattenere la commozione ed è stato il coronamento di un percorso che mi ha cambiato nel profondo per sempre.

2. Che differenza c’è tra un semplice trekking e il Cammino di Santiago?

Il trekking è avventura, sport, fatica e natura. Il cammino di Santiago è tutto questo, ma anche altro: è un viaggio inteso nel senso nobile del termine. Significa che esiste una meta e che, per raggiungerla, bisogna affrontare tre stadi. Infatti esiste un cammino fisico, un cammino psicologico e, infine, un cammino spirituale. Sicuramente è possibile limitarsi a percorrere la via di Santiago pensando di fare del “trekking”, ma così facendo ci si preclude lo stadio più bello, quello che ti apre all’agape, ovvero l’amore fraterno. Chi va a Santiago sa di percorrere un cammino santo e ogni foglia, ogni masso, ogni angolo di strada hanno una valenza diversa. Le persone lì, anche per tradizioni millenarie, sono diverse e c’è uno spirito di fratellanza che il mondo moderno ha altrove dimenticato. Infatti, come dico spesso, si prova nostalgia per un mondo che si è voluto cancellare, ma che in qualche angolo remoto resiste ancora.

3. Mentre lo percorri si sente la valenza spirituale?

Nel riportarmi a quanto ho già anticipato, aggiungo che è un’occasione per parlare con e di Dio. Sembrerà poco trendy agli occhi occidentali, ma con le persone che incontri – siano esse spagnole, americane, brasiliane, inglesi, tedesche, austriache o coreane (sì, ci sono anche quest’ultime) – ci si apre completamente e si parla di tutto, davvero di tutto. Chi di noi, quando è fermo alla fermata di un autobus, parla con gli altri pendolari in attesa? Io non ho mai visto nessuno farlo, invece sul cammino tutto ciò è possibile e non esiste una persona che non meriti di essere conosciuta. Siamo tutti amici nel senso autentico della parola, visto che amico significa persona “che ama”. Poi, ovviamente, quando si rimane soli e cammina per ore sotto il sole, spesso ci si interroga e si parla con franchezza con Dio. Si consideri, inoltre, che si attraversano posti significativi e altamente evocativi come Roncisvalle e le cattedrali di Burgos, Astorga, Leon e – infine – Santiago de Compostela; simboli che sono lì per ricordarci quali sono le basi su cui doveva fondarsi l’Unione Europea.

Cammino di Santiago

4. Quale itinerario hai scelto?

Il mio primo cammino, che è quello che consiglio a tutti per le emozioni per regala, è stato il cd. “francese”, ovvero quello tradizionale che dal paesino francese di San Jean Pied de Port porta – tramite i Pirenei – a Roncisvalle. Quest’anno, invece, ho percorso il cammino del Nord, che, da Irùn nei paesi baschi, prosegue lungo la costa cantabrica e asturiana. In futuro punto alla via francigena in Italia o al camino de la plata da Siviglia.

5. Come ti cambia questa esperienza?

Qualcosa dentro di me è sicuramente cambiata per sempre. Ora vedo molti elementi sotto una diversa prospettiva. Ho ancora molti – troppi – dubbi, ma anche qualche solida certezza in più. Ovviamente poi il difficile viene quando si devono applicare gli insegnamenti tratti nella vita di tutti i giorni.

6. La dimensione “dell’altro” come si integra nella sfida personale di finire il cammino?

L’osmosi è totale. Si vive e ci si confronta continuamente con gli altri, ma senza creare competizioni. Tanto è vero che ci si sveglia, si cammina, pranza e dorme assieme. Altrove, a stare tante ore a contatto, non ci si sopporterebbe più; io, invece, sul cammino non ho mai registrato episodi spiacevoli, anzi: i legami si fortificano per davvero. Sembrerà banale dirlo, ma se si ha un problema, ci si stimola e ci si supporta a vicenda a non mollare. Basti ricordare che io, l’anno scorso, sono arrivato alla meta proprio grazie alla gara di solidarietà di cui i miei compagni di viaggio si sono resi testimoni. Infatti, già a partire dalla seconda tappa, ebbi dei gravi problemi fisici ai piedi tali che ogni passo costituiva per me una indicibile sofferenza. Fu un modo per misurare la mia forza di volontà e la mia tenacia, nonché per imparare il senso della parola umiltà, ma fu soprattutto un’occasione per capire che c’è del bene in questo mondo. Non dimenticherò mai Cesar (basco), Victor (pamplonese) e Fernando (uruguaiano) che – poiché il mio orgoglio non mi consentiva di accettare il loro soccorso – mi “rubarono” lo zaino e se lo passarono a vicenda tra loro per consentirmi di non portare pesi e di concludere la tappa né dimenticherò il modo in cui Lourdes – una ragazza di Santiago – mi supportò e spinse ad affrontare le prime due settimane di sofferenza e, tuttavia – quando compresi che il cammino viene comunque prima di tutto, anche delle amicizie– ciò non mi impedì, seppure a malincuore, di lasciare le suddette persone indietro e di portarmi avanti.

Cammino di Santiago

7. Il momento più difficile?

Tantissimi. Nel 2011 sono arrivato esclusivamente grazie alla mia forza di volontà e al supporto morale degli altri pellegrini, quest’anno invece nei “casini” mi ci sono messo da solo quando ho voluto strafare. In particolare ricordo tre momenti di estrema a difficoltà: a) sul monte Calvario-Arno, tra Deba e Markina, dove 20 km di salita, la pioggia e il fango mi fecero pensare al peggio; b) a tre km da Rabanal del camino dove praticamente mi ressi in piedi grazie a due bastoni; c) sul cammino di finisterre, dove mi feci 55 km in un giorno solo e rimasi senza cibo né acqua ignorando che per ben 30 km non avrei trovato né una fonte né un bar. E’ inutile specificare che in tutti e tre i suddetti casi me la sono vista davvero brutta e ho dovuto far leva su forze che non pensavo di possedere.

8. Nella tua vita di tutti i giorni, in che momenti ti viene in mente la tua sfida raggiunta?

Ci penso spesso, soprattutto quando nutro nostalgia per le sensazioni di libertà che provavo lungo il cammino e mi devo cimentare in una sfida meno stimolante quale è quella che riguarda la lotta contro la burocrazia italiana e uno stato che mortifica ogni giorno ogni mia capacità. In questo momento, ad esempio, provo invidia per un ragazzo francese conosciuto sul cammino che mi ha appena scritto e che è in viaggio da due anni tra Bali, la Thailandia, il Laos la Cambogia e il Vietnam. Se penso che ora passo le mie giornate davanti un pc a scrivere o in un tribunale dove a nessuno importa chi sei, i dubbi sul senso delle mie scelte di vita aumentano sempre di più.

9. A che tipo di persona consiglieresti di fare questo viaggio così speciale?

A chi vuole misurarsi con se stesso e non chi non è troppo abituato a frequentare alberghi a 5 stelle, ma vuole chiedersi se è davvero felice nella sua vita e desidera avere un’occasione per confrontarsi con il prossimo, nonché a chi vuole sposare la filosofia del viaggiare con lentezza e vuole arricchirsi di una conoscenza che un aereo non ti potrà mai trasmettere.

10. Quali cose non si deve dimenticare di mettere nello zaino?

Non bisogna mai dimenticare l’ottimismo e la propria caparbietà. Per il resto, come nella vita di tutti i giorni, serve meno di quanto pensiate. Se nello zaino – oltre ad un ricambio – c’è un ago con il filo, una pila,un k-way e un coprizaino per la pioggia direi che è già possibile partire.

Psicologa e Viaggiatrice. Giro il Mondo e studio la personalità dei viaggiatori! Ho visitato più di 75 paesi molti dei quali da sola. Per me il viaggio è uno strumento di crescita personale. Ho creato questo sito per tutti quelli che amano viaggiare da soli o che vorrebbero iniziare a farlo. Ho pubblicato: Il Bello di Viaggiare da Soli: guida al travel coaching per ottenere il massimo da noi stessi edito Feltrinelli.

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