Ferruccio, lui il Cammino di Santiago lo ha fatto 4 volte!

Francesca Di Pietro Pubblicato il

Lui è il mio compagno di viaggio ideale, silenzioso, disponibile, sempre affascinato dalle avventure che gli propongo. Un po’ invecchiato forse, ma il mio zaino è indomito al punto di essere indistruttibile. Con lui ho attraversato mezzo mondo, dalla Via della Seta, sull’alta via del Pamir costeggiando il confine afgano per più di milleseicento chilometri. Con lui avevo percorso in lungo e in largo tutta l’Indocina e già quattro Camini de Santiago, a Terra del Fuoco, la Adelaide-Dawin,  la Mongolia e la Siberia orientale  e molto, molto altro. Sotto la pioggia attraverso la Spagna, con la neve sui Pirenei francesi, sotto il sole infernale  del deserto del Karakorum e attraverso l’umida giungla laotiana e le acque del delta del Mekong.cammino di Santiago

Ha assunto con gli anni una personalità tutta sua, le pieghe consunte, le bandierine dei paesi visitati scolorite, l’adattabilità al mio corpo è ormai totale e sembra più l’abbraccio di un’amante innamorata che un pesante fardello sulla schiena. Due cambi di tutto, un sacco lenzuolo di seta, un asciugamano tecnico, uno spazzolino da denti con un tubo di dentifricio, un pezzo di sapone di Marsiglia e un paio di scarpe da cammino di eccezionale qualità e la strada è mia. Avevo già camminato per cinquemila chilometri sui Caminos de Santiago e adesso mi andavo a fare quello del Norte, lungo la costa atlantica. Ottocentoventi chilometri lungo forse una delle coste più belle. Coste di antichi pirati baschi, di pescatori di merluzzi, piene di insenature profonde, nascoste in una vegetazione di pini e di eucalipti, con l’onda lunga oceanica che arriva da lontano e che si infrange sugli scogli con il boato della sua forza devastante. Partii da Irun e puntai a ovest, seguendo il sole, per le antiche vie percorse dai pellegrini che accettavano il sogno di Santiago. Cercavo sentieri nascosti, solitari, difficili. Passavo la notte in antichi monasteri, in rifugi abbandonati ma ancora pieni degli odori e dell’energia di uomini e donne che con la fede hanno creato il mito, il sogno del sacrificio e del dolore per raggiungere la gloria. Camminavo sui monti, tra i boschi di querce e lecci e spesso mi sorprendevo a pensare all’isola e allora, istintivamente allungavo il passo e spingevo con più forza le gambe e la fatica si dissolveva e un sorso d’acqua calmava la mia sete. Gli orizzonti si allargavano e si stringevano e le immagini cambiavano, come cambiavano gli odori e i colori, ma il silenzio era sempre quello, fragoroso come una musica coinvolgente fatta di ritmi antichi e nuovi, ma sempre riconosciuti. L’isola era nel mio cuore come una innamorata generosa che mi ha portato per mano, che mi ha indicato la via e che poi triste mi ha detto di andare, di continuare da solo a cercare quello che ormai sapevo che mi poteva servire per essere felice.

cammino di santiagoCamminai come un legionario romano, mi alzavo all’alba e nella foschia seguivo le poche indicazioni fidandomi del mio istinto e poi, quando il sole era alto, cercavo l’ombra, ma andavo avanti, spesso solo, alcune volte seguito da pellegrini già stanchi. In pochi riuscivano a stare dietro al mio impeto che sembrava più una furia di arrivare, di concludere quel Camino. Nei miei orizzonti mentali c’era una montagna in mezzo al mare, la mia isola lontana. Quella era la meta a cui ormai ambivo, l’avevo lasciata solo per capire quanto potesse mancarmi e sapevo già che lì ero comunque destinato a concludere i miei passi, il mio empireo, l’agognato eliso, il paradiso insomma. Ogni uno di noi dovrebbe raggiungerne uno, non solo sognarlo, ma averlo entrandoci dentro, facendone parte e quando giunge l’ora lasciarci le proprie ceneri che ne arricchiscano la terra già grassa, illudendoci che il nostro spirito, almeno lui immortale, ne continui a far parte per l’eternità.

Arrivai a Santiago de Compostela dopo solo ventidue giorni, percorrendo gli ottocentoventi chilometri ad una media folle, ma non inutile, almeno per me.

Per andare Santiago ci sono molte vie segnate e descritte, la via Francese che inizia idealmente a Roncisvalle sul confine francese, poi quello Aragonese da Somport, la via della Plata da Siviglia, quello del Norte da Irun, quello del Levante da Valencia e altre vie minori. Io le ho già percorse tutte tranne quella del Levante.

Nel mio cuore e nella mia mente c’è la voglia di andarla a fare, ma non so se c’è nelle mie gambe e nel mio corpo. E’ una via lunga mille e quattrocento chilometri che attraversa tutta la Spagna da Sud Est a Nord Ovest passando per Toledo e ricongiungendosi alla via della Plata duecento chilometri prima di Santiago sull’Aurense. E’ forse la via più dura, per questo è anche la meno battuta, c’è poca assistenza logistica per i pellegrini e le tappe, per mancanza di paesi e città, spesso superano i quaranta chilometri, che sono tanti se dovuti percorrere quasi tutti i giorni. Sia sulla Plata che sul Francese ho fatto tappe da cinquantadue chilometri, ma solo in casi eccezionali, sul Levante sarebbero invece la norma. La descrizione la da percorribile in quarantacinque giorni, ma sono solo indicazioni con una media di trentacinque chilometri al giorno. L’inizio di un Camino è il momento più difficile per un pellegrino. La prima settimana può essere addirittura terribile anche se la tecnologia aiuta molto con i materiali tecnici adeguati tipo abbigliamento e zaino, ma è il corpo a subire sollecitazioni a cui non è abituato, per questo ho imparato ad ascoltarlo e a rispettarlo.

cammino di santiagoForse avrò una predisposizione naturale, ma faccio parte di quel gruppo di persone che è arrivato sempre a Santiago che sono il cinquanta per cento di chi è partito. E’ vero, la metà non ci arriva e l’abbandono del Camino, l’ho visto con i miei occhi, è dolorosissimo, frustrante e fortemente demoralizzante. Ma il Camino è come la vita, non ci può essere gloria senza dolore e andando per quelle vie il dolore non manca, ma è proprio quello che stimola, che spinge ad andare avanti. Sono in molti però a tradire con troppa facilità quello spirito che ci potrebbe far sentire ancora più umani di quello che apparentemente crediamo di essere e prendono l’autobus o il treno e così vanno avanti giustificandosi essenzialmente con se stessi, rifiutando il concetto della sconfitta che invece ci può stare.

In troppi lo affrontano come una competizione ed è l’errore più grande, ho visto super atleti piangere sul bordo di un sentiero con le scarpe slacciate e tenere i loro piedi pieni di piaghe purulente e sanguinanti, ho visto giovani donne cedere di schianto sommerse dai loro zaini pieni di cose inutili, ho visto tedeschi vomitare la birra ingurgitata bestemmiando un dio che evidentemente non hanno, ho visto anche eroi che in silenzio, in compagnia solo della loro speranza, andavano avanti riuscendo a trovare la forza di regalarmi un sorriso sempre ricambiato. Ho visto una anziana signora francese partita da Lione e arrivare a Santiago con milleseicento chilometri nelle gambe e alla balaustra della Cattedrale ridere e piangere senza ritegno, senza vergogna, alzare gli occhi al cielo e trovare la consapevolezza di un onore, una forza e un coraggio personale e intimo mai perduto. Santiago non centra, Dio non centra, è l’uomo o la donna che affrontano semplicemente loro stessi, molti si trovano, altri no, è la selezione naturale, appunto come la vita. Io l’ho visto così il mio Camino, così l’ho voluto vivere e percorrere. Ne ho fatti quattro, due lo stesso anno Santo del 2010, l’Aragonese da Somport e la Plata da Siviglia. Duemiladuecento chilometri in totale in compagnia di me stesso e occasionalmente di altri che come me andavano a Compostela. Anche io ho vissuto il dolore e la fatica, ma sono andato avanti, rallentando alcune volte, fermandomi un giorno addirittura per dare riposo al mio corpo stremato, ma sono andato avanti, mai ho pensato un istante di mollare, di tornare a casa o peggio di montare su di autobus e tagliare una tappa, mai. Non ho mai capito chi lo fa, per me sono turisti, gente che toglie un posto letto nei rifugi per i pellegrini, quelli veri intendo. Sarò spietato forse, ma quello che ha reso grande il Camino de Santiago in questi anni di opulenza è la possibilità di soddisfare la voglia di alcuni di ritrovare se stessi attraverso il sacrificio percorrendo la via della rinuncia mettendosi alla prova.

Arrivare a Santiago è una sensazione forte, di quelle che lasciano il segno. Gli ultimi chilometri sono terribili, infiniti e la meta, la Plaza dell’Obradorio, dove si affaccia la Cattedrale, da sogno, da ambizione, da uno dei più importanti traguardi di una vita.

cammino di SantiagoSi lasciano alle spalle i polverosi sentieri di montagna, gli antichi borghi rurali ormai abbandonati, ma ancora pieni di misterioso fascino, le foreste infinite di lecci e di eucalipto, il silenzio di una natura che riconquista lentamente i territori orfani del lavoro degli uomini e si entra in una periferia moderna e viva.

Appaiono in lontananza le altissime guglie barocche della Cattedrale e le gambe stanche ritrovano chissà dove energie fondamentali e il passo torna ad essere lungo e disteso, le spalle si rialzano e lo zaino da macigno ridiventa sopportabile. I pellegrini che si erano abbrancati cammino facendo si sgretolano, semplicemente perché ogni uno vuole arrivare solo alla meta agognata. La città indifferente non ti guarda, forse capisce il tuo stato d’animo, ma te lo lascia tutto condividere con te stesso come forse è giusto che sia.

Segui le guglie e vai avanti, se potessi correre lo faresti, ma non puoi. Hai trovato nuova linfa, nuova energia, ma è semplice adrenalina di breve durata e allora te la centellini, la devi gestire e vai avanti. Ti guardi intorno e ti pare strano che il bailamme di una città ti sorprenda perché lo avevi dimenticato nei silenzi assolati delle meseta, gli altopiani infiniti tra Burgos e Leon, salendo da Tricastela verso O Cebreiro fino a mille e trecento metri di altezza per raggiungere Sarria in Galicia per poi superare le dure montagne intorno a Ponferrada.

Tutto è ormai alle spalle, non ha quasi più importanza, la meta è lì che ti aspetta quasi come un premio, ma sai e lo senti dentro di te che la grande avventura sta finendo e alla gioia si mescola la tristezza e sei combattuto. Vorresti continuare all’infinito quel Camino, ormai le gambe non dolgono quasi più, hai saputo essenzializzare lo zaino, hai trovato equilibri che non credevi di raggiungere, hai capito chi sei e sai dove puoi arrivare. Hai trovato te stesso insomma e quel modo di vivere, così antico, ormai ti appartiene e non vorresti più lasciarlo. Questo è il vero premio che arrivando ormai ti appartiene e che nessuno potrà mai toglierti. Non è la Compostela, la pergamena che dichiara che hai percorso da pellegrino il Camino de Santiago in nome di Dio e che ti rimette tutti i tuoi peccati a darti la consapevolezza che quello che hai fatto è qualche cosa di semplicemente ancora più grandioso.

Purtroppo non si può spiegare a chi non l’ha fatto quello che tu hai compiuto, dove sei arrivato e soprattutto come. Rimarrà nel tuo intimo, per sempre.

Psicologa e Viaggiatrice. Giro il Mondo e studio la personalità dei viaggiatori! Ho visitato più di 75 paesi molti dei quali da sola. Per me il viaggio è uno strumento di crescita personale. Ho creato questo sito per tutti quelli che amano viaggiare da soli o che vorrebbero iniziare a farlo. Ho pubblicato: Il Bello di Viaggiare da Soli: guida al travel coaching per ottenere il massimo da noi stessi edito Feltrinelli.

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